Anna (la bellissima e bravissima Alba Rohrwacher) ha un lavoro come segretaria, la sua vita scorre tranquilla (e monotona) tra l’amore per il suo compagno Alessio (uno stralunato e convincente Giuseppe Battiston) e (im)possibili progetti per il futuro. Ad un buffet incontra il cameriere Domenico (Pierfrancesco Favino), sposato, con due figli. I due saranno travolti da una passione fortissima e saranno costretti, tra litigi e momenti di felicità, a fare scelte che li cambieranno per sempre.
Fuori concorso alla sessantesima edizione del Festival del Cinema di Berlino, arriva nelle nostre sale il nuovo bel film di Silvio Soldini, Cosa voglio di più, che, se con l’interessante Giorni e nuvole aveva portato avanti il suo discorso di simbiosi (e relativo scontro) tra amore e lavoro (facendo vincere il secondo), qui fa l’inverso, innalzando all’ennesima potenza la forza della passione sulla quotidianità (alias la normalità). Il regista, però, non si limita solo al “narrare”, ma soprattutto a essere presente (o, se volete, testimone scomodo) con la macchina da presa, prestando la sua regia ad una Alba Rohrwacher fantastica (già vista in Caos calmo), sensualissima, comunicativa anche con un leggero movimento degli occhi, una delle migliori attrici in circolazione; Favino è un gradino sotto, prova a “fare” il meridionale rude e il sentimentale coatto, ma con scarsissimo risultato. Bravi gli attori comprimari, come il grosso Battiston, compagno di Anna e di una dolcezza e premurosità unici. La storia (banale) di passione tra i protagonisti, diventa traino di messaggi più profondi: l’essere impreparati al caso, lo scorrere sempre uguale delle nostre vite può essere sconvolto da un incontro, la monotonicità del vivere presente e futuro (lo sguardo di Anna alle palazzine tutte uguali), può cambiare grazie a un incrocio di sguardi (i due protagonisti non si parleranno molto, il loro sarà un amore fatto di silenzi e sorrisi); altro punto importante è la passione e l’amore come facce della stessa medaglia: non è un caso che i due protagonisti vengano da mondi e zone dell’Italia opposte; lei, infatti, è lombarda, lui calabrese. La dolcezza e la rudezza.
Lei, pallida e solare; lui, scuro e di poche parole. La passione che scoppia tra i due è improvvisa, “solo” di corpi, una risposta “materiale” al quotidiano, alle sue frustrazioni e al suo essere sempre disperatamente uguale; terzo punto (che ingloba i precedenti): la crisi che investe le giovani famiglie dell’Italia di oggi, non solo economica, ma anche relazionale. Entrambi i protagonisti hanno un rapporto di disperata rassegnazione nei confronti del partner, inoltre Domenico è un precario, non riesce a pagare il corso di danza alla figlia, è costretto a chiedere soldi ai suoceri. La situazione è resa tragicomica quando la zia di Anna le dà cinquanta euro come regalo e lei tenendoli in mano, guarda pensierosa come a dire: “che ci faccio con questi?”; lo stesso fa Domenico, che chiedendo soldi al fratello, va via imprecando quando gli vengono “offerti” solo cento euro. Piccole carità che ci/li fanno sentire ancora più afflitti. Allora un amore clandestino, che ci fa riscoprire l’emozione di un brivido (anche se in una poco chic camera di motel: attenzione anche l’amore[?] va pagato), ci dà Qualcosa di più quello che non riesce a darci il vivere di tutti i giorni: i corpi passionali, sono simulacri (vuoti) riempiti all’improvviso, i due “amanti” alla fine saranno consapevoli (anche se negandolo costantemente e rivedendosi di continuo) di cosa sono l’uno per l’altro. Forse una sorta di impossibile e unico “amore precario”?