Dalle nostre parti funziona più o meno così: viene varato un piano regolatore che qualifica alcune aree del territorio comunale come zona agricola; in sostanza, in queste aree non vi sarebbe altra possibilità di erigere fabbricati se non destinandoli ad uso agricolo, e cioè per ospitare attrezzature agricole, macchinari e bestiame. In queste aree, inoltre, il rapporto tra dimensione del fondo e metratura dell’immobile è molto inferiore rispetto a quello esistente nelle zone edificabili. Tuttavia, puntualmente, le regole vengono trasgredite e sui suoli agricoli vengono eretti immobili adibiti ad uso abitativo, fabbricati che non hanno alcuna destinazione agricola.
L’abusivismo edilizio consiste anche in questo. E’ un fenomeno che non può più essere sottovalutato. Al contrario, esso deve essere combattuto con tutti gli strumenti che la legge mette a disposizione oggi e con quelli che possono essere potenzialmente adottati in futuro. Prima di offrire un prospetto delle possibili contromisure e delle soluzioni al problema, però, è bene analizzare in questa sede quelli che sono i metodi attuali attraverso cui le amministrazioni pubbliche e il legislatore affrontano la questione.
Ed è proprio gettando uno sguardo all’ordinamento giuridico che subito incontriamo la prima anomalia del sistema: la burocrazia. Una rete fittissima di disposizioni normative ripetitive, a volte tra loro contraddittorie, spesso inutili, che finiscono inevitabilmente per imbrigliare i cittadini e rendere vana la comune aspettativa di giustizia.
Oggi in Italia per giungere all’abbattimento di un fabbricato ”abusivo” passano in media 2 anni. Troppi. In base alle disposizioni del Testo Unico dell’edilizia le amministrazioni comunali sono tenute a rilevare le irregolarità e ad innescare una procedura indirizzata all’abbattimento della costruzione abusiva. Molto spesso però, l’enorme numero di procedimenti pendenti, i ricorsi all’autorità giudiziaria, i conseguenti provvedimenti cautelari che interrompono l’opera di demolizione, e infine la complicità dei funzionari pubblici con gli autori degli abusi contribuiscono a lasciare le cose nello stato di fatto in cui si trovano. Insomma trascorre il tempo, chi ha infranto la legge resta impunito e paradossalmente la sua speranza che la situazione anteriore all’abuso non venga ripristinata si alimenta giorno dopo giorno.
E’ proprio qui che ci imbattiamo nella seconda grande anomalia italiana: il condono edilizio. Nel tempo che trascorre tra la costruzione dell’immobile abusivo e l’esecuzione del provvedimento di abbattimento, il trasgressore trova spesso l’occasione di sanare la propria posizione. Grazie al condono, infatti, egli ha la possibilità di mettersi in regola mediante il pagamento di una somma di denaro e denunciando alle amministrazioni comunali il proprio illecito operato. Nel corso degli anni, nel Belpaese, sono stati emanati tre condoni edilizi, il primo nel 1985, il secondo nel 1995 e l’ultimo, nel 2003. Clientelismo politico, favoritismi, ma anche e soprattutto l’esigenza di incamerare denaro nelle casse dello Stato: qualunque cosa giustifichi la pratica dei condoni, essa non può servire ad equiparare chi ha infranto le regole e ha danneggiato il territorio a chi non lo ha fatto; senza considerare che con provvedimenti simili non si fa altro che incentivare la commissione di ulteriori abusi.
Ancora una volta dobbiamo rammaricarci e prendere atto che il Paese in cui viviamo non è affatto all’avanguardia nella tutela dei diritti. Qui le cose devono cambiare. Non è tollerabile oltremodo che si prosegua su questa strada: la lentezza della macchina amministrativa, l’eccessiva cavillosità del sistema, la tendenza a favorire i furbi e i disonesti fanno sì che la nostra Nazione sia una sola gigantesca anomalia. Serve più onestà, più legalità, meritiamo un’Italia finalmente diversa.