In questa bellissima Valle, formata dall’azione congiunta del fiume Sarno e del complesso vulcanico Somma-Vesuvio, l’avventura umana comincia molto indietro nel tempo, circa intorno al IV millennio a.C., stando ai ritrovamenti archeologici avvenuti nella Piana. Essa dovette apparire molto bella ai primi frequentatori, dal paesaggio variegato e dal clima dolce, circondata e protetta dalle ultime propaggini dell’Appennino Meridionale, costituito questo nello specifico dal gruppo montuoso conosciuto come i Monti di Sarno (di cui la cima più alta é il Pizzo d’Alvano con i suoi 1131m), e da quello dei Monti Lattari, di struttura carbonatica, ricoperti da una coltre piroclastica il cui spessore va dai 4 ai 7 metri, frutto dell’attività eruttiva dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio.

Ai margini della piana svettava l’altissima mole del vulcano Somma[1], anch’esso rigoglioso di vegetazione, come i Monti di Sarno e i vicini Lattari: querce, faggi, abeti, pini, cipressi, noci, nocccioli formavano tale ricca vegetazione spontanea. Il sottobosco, ricco di frutti e di bacche, ospitava numerose specie animali: piccoli volatili, lepri, volpi, ghiri, tassi, arvicole terrestri, cinghiali, mentre sui monti vivevano cervi, caprioli, orsi, gatti selvatici. Nei pressi del tranquillo corso del fiume Sarno vivevano, inoltre, lontre, tartarughe, pesci, molluschi, rane e altri animali acquatici.

Questo era l’ambiente di riferimento naturale quando le prime bande di cacciatori-raccoglitori vi si stanziarono nel corso del Neolitico, pronti ormai ad abbandonare la vita nomade e intraprendere le prime attività agricolo-pastorali. Tracce di questi antichi abitatori sono state intercettate nell’attuale territorio di Nocera, Bracigliano e Angri durante ordinari lavori di manutenzione del territorio, che hanno consentito il ritrovo fortuito di utensili neolitici (semplici pietre scheggiate), mentre a Sarno frammenti di ceramica di un delicato colore rosa-giallino sembrano riemersi dalla notte del tempo. Relativi al successivo periodo Eneolitico o Età del Rame, quello legate alle prime attività di metallurgia (III-II millennio a.C.), genti ancora differenti hanno lasciato flebili tracce ancora a Bracigliano e Sarno: una ceramica di tipo embricato (decorato a squame), utilizzata in quel periodo. Poco o nulla si sa dei loro insediamenti, delle loro attività, dei modelli di vita praticati, tanto sono fiochi gli echi di questi giunti fino a noi.

Tracce più consistenti del Bronzo Antico (XVIII-XVII) sono state rinvenute ancora a Sarno, precisamente nella zona di Foce esisteva un villaggio, del quale si é conservata traccia delle strutture lignee delle capanne e dei recinti per il ricovero degli animali, oltre a frammenti ceramici della cosiddetta facies di Palma Campania[2], ovvero tazze con manico a nastro, decorate a punteggio ed excicione.Questo, come tutti gli altri insediamenti di questo periodo furono seppelliti da un’eruzione catastrofica del Somma, verificatasi intorno al 1800 circa a.C., detta delle Pomici di Avellino, dalla direzione presa dai prodotti piroclastici eruttati, sotto i quali rimasero sepolti tutti gli insediamenti umani ubicati sulla direttrice Palma Campania-Nola-Avellino.

La vita riprese nel periodo successivo, con insediamenti che privilegiavano ancora posizioni vicine ai corsi d’acqua, stavolta la sorgente Palazzo, dove resti di legno segnalano un altro villaggio del Bronzo Medio (XVI-XIV) in località S. Giovanni.

I materiali relativi ai ritrovamenti citati, e a molto altro di cui parleremo più diffusamente in  successivi momenti di approfondimento, sono visionabili nel bel Museo Archeologico di Sarno, insediatosi da poco nello stupendo Palazzo Capua. A tutti consiglio vivamente di visitarlo, magari con l’ausilio del  Gruppo Archeologico, sempre disponibile a diffondere le informazioni necessarie e a supportare i gruppi di visitatori che volessero contattarlosul sito: www;terramare3000.it.

Il viaggio alla ricerca degli antichi abitatori della Valle non terminerà presto, cosi’ come non terminerà presto la ricerca di un senso per la nostra identità composita di cittadini di un territorio definito, inserito in un consesso globalizzato. Bene fa Enrico Pozzi a sottolineare: «Siamo animali sociali.. Frammenti di sociale individualizzati.Se così è, la qualità degli universi sociali in cui siamo immersi diventa la qualità della nostra identità[3] ». A questa aggiungerei la qualità degli universi sociali passati, sempre in dialogo fecondo con i presenti. Tanto per non banalizzare la ricerca, lei stessa sicuramente fonte di speranza.

[1]Cosi’ come appare in un affresco rinvenuto a Pompei, raffigurante Bacco e il Vesuvio prima dell’eruzione, conservato al MANN.

[2]La facies archeologica cosi’ denominata dalla prof.ssa Claude Albore Livadie, « prende forma alla fine del III millennio ed è rappresentativa dell’Età del Bronzo Antico in Campania. Deve il nome alla località in cui avvennero i primi rinvenimenti e da cui scaturirono gli studi sul periodo. L’insediamento di Palma Campania fu scoperto nel 1972 durante i lavori di costruzione dell’autostrada Caserta-Salerno. Gli scavi  portarono alla luce i resti di una capanna contenente un ingente numero di materiali fittili, rappresentati in gran parte da vasi (circa 130), rinvenuti uno accanto all’altro o impilati. I vasi furono ritrovati in stato di notevole conservazione; erano realizzati in ceramica d’impasto, più o meno ben lavorata, ed avevano le superfici esterne lisciate, steccate o addirittura lucidate; quelli di lavorazione meno accurata presentavano la superficie opaca. I vasi erano differentemente decorati. Nel corso dello scavo, furono rinvenuti anche molte tazze (circa 80), di varie dimensioni e fogge, sostegni a clessidra, brocche, boccali, scodelle e grandi contenitori. »Università degli Studi di Napoli, Centro Museale-Catalogo Multimediale

[3]Enrico Pozzi « Identità collettive, dolore anomico e carisma », in « Viaggio in Italia. Alla ricerca dell’identità perduta », a cura di Cogoli, Meloni, Intesa San Paolo., gennaio 2012.