Nel corso del VII e ancora nel VI secolo a.C. si confrontarono in maniera paritetica e pacifica tre soggetti sul territorio campano: gli insediamenti di area marcatamente etrusca (per esempio Capua), quelli di derivazione spiccatamente greca (per esempio Cuma) e, i dati archeologici lo testimoniano, gli insediamenti indigeni (per esempio Suessula o Longola).
I centri di influenza etrusca, non costituendo vere e proprie colonie, integrano al loro interno anche elementi indigeni ed esercitano una notevole influenza culturale, che è ben testimoniata dalla grande produzione e circolazione della ceramica etrusca (bucchero) e dalla diffusione della scrittura etrusca (derivata da quella greca giunta in Campania nell’VIII secolo a.C., al seguito dei colonizzatori eubei), attestata in un corredo tombale di Pontecagnano già a partire dalla metà del VII secolo.
“Attraverso rapporti di solidarietà gentilizia, o iniziative di singole gentes, piuttosto che attraverso forme di dominazione politica, si realizza, tra lo scorcio del VII e i primi del VI secolo, l’affermazione della egemonia etrusca in Campania. Il carattere pervasivo di questa rinnovata presenza si manifesta, in primo luogo, attraverso l’adozione della lingua. Nel corso del VI secolo, pur segnato da interferenze locali, diviene la lingua della scrittura, comune a tutti i centri non greci della regione…Non manca infine qualche raro esperimento di scrittura locale.”[1]
Con questo il prof. Bruno D’Agostino fa riferimento alle scritte in cosiddetto “alfabeto osco-nucerino” rinvenute a Nuceria, Vico Equense, Sorrento, Stabia, Nola, le quali altro non sono che la testimonianza di quanto gli indigeni apprendano velocemente, pur senza rinunciare alla propria identità e specificità.
Intanto verso la fine del VII secolo a. C. e gli inizi del VI giunge al culmine un processo di riorganizzazione degli insediamenti e di ristrutturazione del territorio non solamente campano, ma che interessa sostanzialmente le aree a più precoce e maggiore sviluppo sociale, culturale ed economico-produttivo e trova la sua genesi nei processi innescati in epoca precedente.
Nascono le città, modelli insediativi nuovi, caratterizzati da un’originaria pianificazione, che prevede per la prima volta la suddivisione funzionale degli spazi geografici, in cui aree prettamente residenziali, produttive, sacre, di scambio e di raccordo. Il tutto organizzato in modo che, per la prima volta, ad ogni area corrisponda la soddisfazione dei bisogni di una comunità sempre più grande e complessa. Tale processo “sinecistico” talvolta aggrega, ampliandoli agglomerati già esistenti, talaltra porta alla scomparsa dei villaggi sparsi, che perdono completamente e repentinamente la loro funzionalità per dare origine ai centri urbani veri e propri.
È il caso del Villaggio Sarrasto di Longola, abbandonato probabilmente dopo l’ennesima alluvione, per dare origine alla città di Nuceria o per arricchire la nascente Pompei. “Questo processo, a sua volta, mette in crisi il tradizionale assetto gentilizio fondato essenzialmente sul possesso di un ampio ager indiviso da parte delle famiglie dominanti, favorendo la formazione di nuove forze sociali: da un lato l’aristocrazia cittadina, legata a una ricchezza di natura mobile, in grado di controllare i rinnovati mezzi di produzione e di scambio, dall’altro, un ampio strato subalterno inurbato che fornisce l’indispensabile forza lavoro, semplice manodopera e maestranze qualificate.” 2
L’apertura e gli scambi continui sono testimoniati dal fatto che non vi è centro campano che non faccia uso prevalente di vasellame di bucchero; mentre si ritrovano elementi architettonici indigeni sparsi un po’ dovunque, dal nord della Campania fino all’area meridionale (Poseidonia).
Risale allo stesso periodo la monumentalizzazione dei santuari cittadini, fenomeno tutto cittadino che ha la sua origine a Capua e Cuma, ma presto si estende in tutta la Campania, evidenziando la sostanziale omogeneità culturale che interessa l’intero territorio regionale. Mentre nei periodi precedenti la ricchezza delle élite si manifesta in particolare nelle sepolture, definite “principesche”, con la nascita delle città tale ostentazione cessa, per lasciare il posto ad un mutamento culturale profondo, che trasferisce ai monumenti cittadini, ai santuari e alle offerte votive in essi rinvenuti, quell’ostentazione di status, prima riservata essenzialmente alle tombe.
[1] Bruno D’Agostino – L’incontro dei coloni greci con le genti anelleniche in Campania”, in “I Greci in Occidente” AAVV, editore Bonpiani, Milano 1996.
[2] Luca Cerchiai – Gli antichi popoli della Campania- Archeologia e storia- Editore Carocci, Roma 2010