Andrea (Francesco Mandelli), dopo l’abbandono del padre, vive circondato dalle sette “donne” della sua famiglia: madre severissima, nonna rimbambita, badante, tre sorelle e cane. Dopo tante storie finite per via delle insopportabili donne di casa, con l’arrivo di Giulia (Valeria Bilello), il ragazzo si convince per vivere felici deve provare ad abbandonare il nido familiare.

Non mi è mai capitato di assistere a un film e notare che, forse, gli attori coprotagonisti (o che compaiono in un cameo) risultino più convincenti dell’intero cast. Mi soffermo solo sul protagonista, Francesco Mandelli: per favore toglietecelo davanti. Ormai ha stufato con la sua aria da saccente sfigato/coatto, quel suo riproporsi sempre sotto la stessa veste (un eterno “nongiovane” come si autodefinisce), quel suo non avere alcuna capacità comunicativa o attoriale. Ma ormai è lui, grazie all’inguardabile show tv (e poi film con sequel) I soliti idioti (ideato, anzi copiato, insieme a Fabrizio Biggio, che ha trovato posto in una comparsata e con il quale si autoproclama “futuro della comicità italiana”) la star del momento: piace ai giovani e attira persone nelle sale.

Il resto del cast non è certo più convincente: Loretta Goggi (la madre), ormai dovrebbe arrendersi alla verità che il cinema di oggi non è la televisione di ieri; Chiara Francini, Claudia Zanella e Marina Rocco (forse la più convincente delle tre, con un ruolo alla Meg Ryan) nel ruolo delle sorelle del protagonista, mentre menzione merita Lucia Poli: il suo ruolo da nonna è davvero favoloso, a metà tra sognatrice e saggia evocatrice. Divertenti invece, come accennato, i comprimari/camei: Maurizio Micheli (ve lo ricordate il suo pugliese in Rimini, Rimini?), Gioele Dix, Pierfrancesco Diliberto, Alessandro Tiberi (sinceramente avrei dato a lui il ruolo da protagonista), Luca Argentero (bravo e convincente per due minuti) e Filippo Roma (Iena dell’omonimo programma).

Ormai la commedia (all’) italiana sta andando veramente a rotoli. La RaiCinema, inoltre, trova i fondi per finanziare questo pasticcio cinematografico: ma si tratta di confezionare un film che intrattenga per bene, che ci innesti in quella realtà ovattata dove (come a richiamare alcuni film americani anni ’50) vivono le famiglie italiane odierne. Non c’è traccia di crisi, di problemi per la spesa o per l’affitto. E forse questo aiuta nella battaglia quotidiana degli spettatori/cittadini. Fausto Brizzi ormai si è specializzato nelle commedie facili facili, quelle che fanno soldi al box office, ma che l’anno dopo hanno tutti dimenticato.

Peccato però, perché qui il soggetto (scritto così come la sceneggiatura, oltre che dal regista, anche da Marco Martani e Federica Bosco) era interessante, aprendo a molte possibilità narrative davvero surreali e divertenti. Invece una sceneggiatura davvero scontata e farcita non solo di volgarità, ma anche di sconcertanti vuoti, relega il film a un susseguirsi di ovvietà di un’ora e mezza, spostando la parte più interessante (la “sistemazione” delle sorelle) negli ultimi 10 minuti, mentre avrebbe meritato, insieme al martoriato vivere insieme a sette donne, uno sviluppo migliore. Lo stesso “ritorno” del padre (un anonimo Flavio Insinna), poteva essere sviluppato meglio, innescando molti più percorsi narrativi. Peccato. Ecco la dimostrazione che non basta un’ottima idea di base per fare un buon film. Basterebbe solo un po’ più di modestia e, magari, più senso della commedia, perché, Pazze di me, ne ha davvero poco.