E ritorniamo alla Cultura Etrusco-campana, prosecuzione di quella Villanoviana vera e propria. I numerosi ed interessanti scavi condotti a Capua, come a Pontecagnano e altrove mostrano un’essenziale mancanza di mutamenti nella cultura materiale delle popolazioni che abitarono quei luoghi, caratterizzati dunque da una continuità insediamentale non interrotta a partire dalla prima Età del Ferro (circa IX secolo a.C.).
In effetti queste prime sepolture caratterizzate dal rito dell’incinerazione e dall’interramento dei resti combusti in un contenitore ceramico di forma particolare: biconico a Pontecagnano e a forma di olla, sovrastato da una scodella a Capua, sono molto interessanti e raccontano molto più di quanto si pensi, sia per le analogie che rivelano che per le differenze che evidenziano.
Intanto affini riti funerari, ma contenitori diversi denunciano legami ed influenze insospettabili, completamente differenti dalle popolazioni indigene, da sempre inumatrici.
Nella prima fase villanoviana (IX sec. a.C.) la documentazione archeologica testimonia i rapporti fra i vari centri dell’Etruria con altri ambiti territoriali. Secondo Cerchiai “La Campania settentrionale continua a guardare verso l’Etruria meridionale e, in particolare, a Veio, sviluppando probabilmente a Capua, una scuola scrittoria locale; la Campania meridionale, da Stabiae a Pontecagnano, appare più aperta agli apporti di Tarquinia e Vulci in Etruria centrale…”[1]
Il luoghi strategici scelti dagli insediamenti villanoviani principali in Campania sono sempre quelli presso fiumi importanti: il Volturno e il Picentino, ma anche il Sarno, con le relative, fertili pianure e i privilegiati rapporti con la costa. L’affaccio al mare, in effetti, era importantissimo per gli Etruschi, visto che la Campania rappresentava per gli antichi un naturale punto di passaggio sulle rotte commerciali da e verso il Mediterraneo. Del resto le fonti antiche che li indicano con il nome di “Tirreni” fanno del mare da loro solcato e dominato il mare dei Tirreni o Mar Tirreno. Insomma scambi e commerci, crocevia di genti e incroci di culture passavano da qui, ed è fondamentalmente da questa considerazione che bisogna partire per dare un senso compiuto alle migliaia di reperti etruschi giunti fino a noi da questo lontano passato, che ancora ci interroga. I centri campani spiccatamente etruschi (Capua, Pontecagnano, Arenosola, Capodifiume, Sala Consilina) e quelli etruschizzati (Suessula, Acerra, Nola, Pompei, Nocera, Stabia e i loro retroterra) sono molti e capaci di rivaleggiare da protagonisti indiscussi per un certo periodo con l’Etruria e con le città greche, fondate in Campania a partire dall’VIII secolo a.C. con un evidente consenso degli Etruschi. Infatti nella seconda fase (VIII secolo a.C.) si ampliano questi rapporti e si precisa meglio lo speciale collegamento con la Grecia, provato dalla circolazione di oggetti greci in Etruria e di oggetti etruschi in Grecia, ma soprattutto dallo svilupparsi di una produzione ceramica ad imitazione dei prototipi greci e dall’accoglimento di atteggiamenti ideologici derivati dal mondo greco, anche se reinterpretati alla luce di valori diversi. Nella seconda metà dell’VIII secolo, quindi, le comunità villanoviane sono in piena espansione, a controllo delle vie di traffico e dei nodi strategici dei territori da loro abitati. Ma, attenti a non parlare di “colonizzazione” vera e propria, qui si vuole sottolineare l’area di forte influenza, che conduce ad intrattenere rapporti privilegiati con quelle di provenienza degli Etruschi. Probabilmente dopo un primo approccio con l’agro picentino si avranno contatti con l’agro volturno, il cui stesso nome del fiume rimanda all’inflenza etrusca. Questa Capys, poi Capua, sembra avviata fin da subito ad un precoce ruolo leader degli insediamenti etruschi-etruschizzati campani, in relazione privilegiata con i coevi insediamenti indigeni, con i quali si stabiliscono rapporti di pacifica coesistenza. Le fonti classiche riferiscono a tale proposito della fondazione di una dodecapoli etrusca, con a capo Capua appunto. Quante delle innovazioni ed invenzioni fatte proprie dai centri indigeni, metabolizzate da altri popoli antichi, sono state mediate e mutuate dagli “Etruschi di frontiera”[2]? A partire dall’alfabeto, che gli Etruschi apprendono dai Greci “d’Occidente” per passare agli altri popoli della Campania antica. Abbondanti appaiono, infatti, le iscrizioni in lingua etrusca ritrovate nella nostra regione, di cui la Tegola di Capua appare il più lungo testo redatto in questa lingua e presente in Italia. La presenza di questo straordinario popolo contribuirà a dare alle genti campane la fisionomia etnico-sociale, politica e culturale ricca e complessa che ben conosciamo e che per tanti versi sarà decisiva nelle sorti dell’Italia antica.
L’incontro, dapprima fecondo e poi conflittualmente drammatico con i Greci, sarà fondamentale per la costruzione del coacervo cultural-etnico campano, ma sarà poi l’ulteriore ibridazione con altri popoli (in primis i Sanniti, poi i Romani, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi, gli Spagnoli, i Francesi, i Piemontesi) che farà giungere fino a noi quel patrimonio genetico complesso e composito di cui siamo portatori. Patrimonio che ci consegna intatta la responsabilità di dover incontrare per integrare altre culture giunte, sempre attraverso il Mediterraneo, fino a noi. Ancora contaminazione etnica e culturale. Ancora e ancora, in una ricerca eterna di quella unicità umana, senza razza alcuna che tutti ci contraddistingue.
[1]Luca Cerchiai-Gli antichi popoli della Campania. Archeologia e storia- Carocci editore 2010
[2] Bellissima espressione con la quale si è scelto di designare il Museo di Pontecagnano, con i suoi ricchi allestimenti e le sue belle ricostruzioni, che rimandano al mondo etrusco “di frontiera”, dopo il quale è decisamente Grecia, coloniale e “magna”.