E’ proprio vero, la conoscenza è sempre insufficiente, soprattutto se vuole porre le proprie fondamenta su un solo aspetto della realtà storica, di quel passato che “assomiglia ad una foresta fitta, spesso inestricabile, e possiede la stessa complessità del presente” (Paolo Macry),  con una moltitudine di dimensioni e di variabili spesso estremamente difficili da dirimere e soprattutto da isolare.

Per questa rubrica ho scritto per diverse settimane di Etruschi, riportando fonti storico-letterarie, leggende e risultati scientifici di ricerche sulle loro origini, parlando dell’attualità del dibattito “sospeso” fra passato e presente. Quel popolo che Erodoto, Ellanico e Anticlide dicevano proveniente dall’Anatolia, mentre Dionigi di Alicarnasso considerava autoctono.

Gli studi sul DNA antico di quelle popolazioni, condotti dalle Università di Pavia e, autonomamente, da studiosi delle Università di Torino e Piacenza sostanzialmente sembravano confermavano l’ipotesi dell’origine orientale. La querelle cominciata oltre duemila anni, alla luce dei risultati scientifici fa pareva aver trovato requie. In realtà oggi è ancora lungi dall’essere terminata.

Andiamo per ordine: uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Plos One”[1], coordinato da Guido Barbujani, docente di genetica dell’Università di Ferrara e David Caramelli, docente di antropologia dell’Università di Firenze, realizzato in collaborazione con l’Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ITB-CNR) di Milano, sembra smentire ancora una volta la tesi di Erodoto ed altri studiosi dell’antichità. Dagli studi delle équipes di Barbujani e Caramelli, infatti, risulta che  in alcuni abitanti di Volterra ed Arezzo si trovano ancora DNA identici a quelli degli Etruschi vissuti 2.500 anni fa. Nello specifico Guido Barbujani[2] sostiene che “Leggere nel DNA di persone così antiche è difficile. I pochi DNA finora disponibili non permettevano di dimostrare legami genealogici fra gli Etruschi e i nostri contemporanei. Lo scorso anno, il gruppo fiorentino di David Caramelli, è riuscito a studiare un numero maggiore di reperti ossei; così ci siamo resi conto che comunità separate da pochi chilometri possono essere geneticamente molto diverse fra loro e abbiamo visto come l’eredità biologica degli Etruschi sia ancora viva, anche se in una minoranza dei toscani.

Il confronto con DNA provenienti dall’Asia dimostra che fra l’Anatolia e l’Italia ci sono state sì migrazioni, ma che sono avvenute migliaia di anni fa, nella preistoria, e quindi non hanno rapporto con la comparsa della civiltà etrusca nell’VIII secolo avanti Cristo. Viene così smentita l’idea di un’origine orientale degli Etruschi, ripresa alcuni anni fa, da studi genetici che però si basavano solo su Dna moderni”. David Caramelli[3] rincara la dose asserendo che “ E’ vero, nel DNA degli Etruschi ci sono tracce di popoli anatolici, ma è un contatto che secondo i nostri studi è avvenuto circa 6000 anni fa e non 2500 anni fa, cioè al tempo della presunta migrazione delle coste del Mediterraneo orientale e della formazione dell’ethnos etrusco.”

Ma a questo punto delle ricerche si inserisce Alberto Palmucci[4], che forte dei suoi studi e ricerche sull’argomento, argomenta: “Dalla lettura dei risultati scientifici pubblicati nel testo non si ricava affatto che negli ultimi secoli del secondo millenni avanti Cristo non ci possano essere state una o più migrazioni di gruppi di persone (Troiani, Misi, Lidi e Pelasgi) che dall’Anatolia vennero nell’Italia centrale tirrenica costituendo il contributo esterno alla formazione dell’ethnos di quella nazione che i Romani chiameranno Etruria… Nel 1994 i genetisti Luigi Cavalli Sforza e Alberto Piazza hanno sostenuto che le caratteristiche genetiche di coloro che oggi, in Italia, vivono nella regione dell’antica Etruria sono notevolmente diverse dagli altri Italiani. Con ciò, essi ritenevano possibile che gli Etruschi fossero un popolo immigrato.”

Palmucci continua citando gli studi di altri genetisti, quali Antonio Torroni e lo stesso Barbujani, che giungevano a conclusioni diverse da quelle attuali, interpretando i dati della ricerca in maniera differente. Nel dibattito è intervenuta anche Valeria Forte, dall’Università di Dallas, supportando decisamente le affermazioni di Palmucci, sostenendo che le migrazioni di diversi popoli orientali verso l’Italia centrale avrebbero potuto “prendere la forma di un modello circolare di partenza da e ritorno alle coste italiane”.

E’ evidente che il dibattito sull’origine degli Etruschi è ancora attuale e lontano dal giungere a conclusioni che possano essere considerate definitive, proprio per questo appassiona, come un giallo del quale l’epilogo della vicenda si continua a posporre, per oltre duemila anni, ancora e sempre tanto incompiuto quanto sfuggente.

E gli sposi di Cerveteri, dai tratti evidentemente orientali, oggi comodamente alloggiati nel Museo Nazionale Etrusco romano di Villa Giulia, dall’alto del loro sarcofago si concedono all’ammirazione dei visitatori senza rivelare crepe nei segreti di oltre 2600 anni fa,  facendosi ancora beffe della nostra ignoranza…

[1] Rivista pubblicata dall’Università del Wisconsin, USA, in data 6/2/2013.- Studio sul Dna degli Etruschi- Ghirotto S., Tassi F., Fumagalli E., Colonna V., Sandionigi A., Lari M., Vai S., Petiti E., Corti G., Rizzi E., De Bellis G., Caramelli D. and Barbujani G. (2013) Origins and evolution of the Etruscans’ mtDNA. PLoS ONE DOI.

[2]Scheda ripresa dal sito  dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr di Milano.

[3] Intervista comparsa nella rivista “Archeologia Viva”, numero  maggio-giugno 2013.

[4] Docente e Dirigente, Ricercatore IRSAE Liguria. I suoi studi sono stati pubblicati, fra l’altro, dall’Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova, Dall’Università di Innsbruck, dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Bari e dal Dipartimento di Studi del Mondo antico dell’Università di Roma Tre.