Un’edicola ad opera d’arte, autentica, affascinante e immortale nel tempo, rappresenta gran parte della storia di San Gennaro Vesuviano. Nella comunità sangennarese ne fioriscono molte altre risalenti a tempi ormai lontani che racchiudono fonti e corsi storici di grande importanza, ma questa è il fiore all’occhiello del nostro paese, situata di faccia alla centralissima piazza Margherita.
Questa pregevolissima forma d’architettura religiosa rappresenta, come del resto tutte le altre, il simbolo di devozione popolare della nostra comunità, un notevole patrimonio carico di stili artistici, sebbene poco conosciuta dalla popolazione e nella maggior parte dei casi ignorata e dimenticata dai numerosissimi passanti che la osservano solo dal lato estetico poco incuriositi sulle origini e il significato profondo di questo meraviglioso “piccolo tempio religioso”. La cordiale disponibilità e il grande senso civico e patriottico del professore Aniello Giugliano (presidente del comitato fiera n.d.r.) ha fatto breccia nella nostra voglia irrefrenabile di conoscere, scoprire e diffondere alla comunità sangennarese il culto sacro di questa edicola votiva altro elemento di notevole rilevanza dopo averci deliziato di cultura con la croce conficcata nel monumento.
Buongiorno professore, eccoci di nuovo qui con voi, innanzitutto vogliamo sottolineare che i ringraziamenti nei vostri confronti non finiranno mai, quindi passiamo subito all’oggetto del nostro incontro: quali notizie mi può dare intorno all’edicola di San Gennaro Vesuviano al centro del paese?
Caro Antonio mi chiedi di conoscere le notizie intorno all’edicola di San Gennaro Vescovo e Martire che campeggia sul palazzo che fa angolo con via Roma e guarda la vasta piazza centrale del paese che porta il nome della Regina Margherita. Voglio partire proprio dallo slargo. Un tempo quella Piazza si chiamava Campo, perché era il Campo della Fiera, e prima ancora era stato il campo di equitazione annesso alla Cavallerizza; in quello slargo, ancor prima della fondazione della Fiera da parte di Scipione Pignatelli, già nel 1500 si svolgeva una festa in onore del Santo con grande concorso di popolo, che in quanto grande non doveva certamente essere costituito dalla sola popolazione del Piano di Palma, che all’epoca non doveva superare i mille abitanti; in seguito all’autonomia divenne Piazza Municipio e conservò questo nome fino all’uccisione del cosiddetto “re galantuomo” nel 1900, quando in solenne riunione del consesso consiliare le fu attribuito il nome di Piazza Umberto I, nome che conservò per un decennio circa, o forse meno; in seguito all’eruzione dell’aprile 1906 (il giorno delle Domenica delle Palme) sia per l’amorevole assistenza offerta alla popolazione e sia per l’impegno profuso nel sensibilizzare le autorità centrali ed il Parlamento del regno ad approvare i provvedimenti assistenziali e finanziari che permisero al comune di assumereun aspetto decoroso, le ritroviamo attribuito il nome della Regina Margherita, vedova del defunto sovrano e madre del regnante Vittorio Emanuele II. Nel 1937, in seguito alla morte di Guglielmo Marconi, utilizzato dalla propaganda del regime fascista come esempio di patriottismo e genialità italica la Piazza assunse il nome del grande scienziato, ma tale denominazione non durò che pochi anni; infatti la guerra, la sconfitta del regime riportò in auge il vecchio nome della defunta Regina madre che era morta nel 1926 ed ancora erano sotto gli occhi le realizzazioni fatte in seguito al suo intervento: sistemazione della Piazza e di Piazzetta Nunziata-Nappi , ora Padre Pio, l’edifico delle scuole elementari ora edificio comunale, l’edificio del comune, bombardato dai tedeschi in ritirata e pio ricostruito, ora sede della sezione moda del Liceo artistico, la conduttura per la fornitura di acqua potabile. La gratitudine verso chi aveva permesso tutto ciò con la sua opera di sensibilizzazione e la delusione verso il regime fece ritornare in auge il nome delle regina madre che ancora oggi rimane e nessuno si sogna di cambiare.
Come mai ha voluto soffermarsi sulla toponomastica della piazza Margherita per parlare di un edicola?
Ma una piazza è l’anima pulsante di un popolo e quella piazza è stata l’anima pulsante di un intero territorio che vi si è storicamente riversato in massa da tutto il circondario per partecipare alla Fiera, è la piazza dove trovavano rifugio i fuggitivi vesuviani per scampare alle furie devastanti delle eruzioni vesuviane e quindi svolgeva funzione di accoglienza anche grazie ai numerosi pozzi per attingere acqua potabile o per ricevere l’assistenza materiale e spirituale offerta dei frati del Convento. Di tutta questa storia l’edicola di cui mi chiedi e la testimone materiale.
Ma non solo è degno di attenzione il sito su cui l’edicola guarda bensì anche l’edificio sul quale è collocata è degno della più alta considerazione. Quell’edificio rappresenta la continuità nel presente del più antico manufatto storico del territorio, che, per secoli, ha dato il nome al luogo ed è segnato nelle antiche carte topografiche: la Cavallerizza di Re Ferrante. In quel luogo, al centro del Piano di Palma, Ferrante d’Aragona vi fece, infatti costruire un vasto edificio comprendente stalle per 120 cavalli al piano inferiore e camere per ospitare lui e la corte durante le battute di caccia al tempo della passa. L’edificio fu in parte demolito durante le scorribande di Carlo VIII, ma poi dovette essere riparato per ospitarvi per circa cent’anni le migliori razze equestri del regno al servizio della corte reale e vicereale, sotto la giurisdizione del Monetiere Maggiore; però nei fatti diventò possedimento feudale, anche se nel diritto rimase proprietà demaniale dello stato per la cui rivendicazione, ancora a metà del millesettecento, il conservatore dei beni reali,invocandone l’inusucapibilità, reclamava il possesso del Piano e degli edifici ivi esistenti. La vicenda nella sua complessità non è ancora stata compiutamente studiata, ma sappiamo che proprio in quel periodo di tempo, proprio in quell’edificio il signore della terra vi introdusse una taverna con alloggio e poi anche un negozio di salumi ed un forno pubblico per la panificazione, tutte cose che durarono almeno fino al primo quarto del XIX secolo.
Quale significato racchiude questa edicola?
Ed ora veniamo, finalmente all’edicola cercando di cogliere ciò che essa ci narra: l’allocazione, le sue dimensioni, l’ornato, la raffigurazione della scena, lo stemma, la data, sono tutti elementi che vogliono raccontare. L’edicola è posta sulla facciata orientale, guarda lo spiazzo del campo, ma anche e principalmente la strada proveniente da Palma che disegnando un’ampia curva nel costeggiare il muro dell’orto conventuale si accingeva ad entrare nel caseggiato sangennarese sviluppatosi lungo l’attuale via Roma. Un avviso dunque al viandante: se non lo hai ancora capito sei giunto nel territorio del neo Comune istituito da Ferdinando II di Borbone a partire da un anno da oggi. San Gennaro aveva ottenuto l’autonomia da Palma dal primo gennaio 1841, un anno prima della data segnata a piè pagina della figura. I fratelli maggiori c’erano rimasti molto male, cercavano di colpire sodo, di far rimangiare la decisione sovrana tramite una petizione di parte della popolazione sangennarese (forse era falsa o chi l’aveva firmata cercava di rinnegarla) speravano di far ritorno indietro, di costruire un nuovo rapporto in comune. Attaccarono anche la Fiera che era l’unico cespite del neonato comune, proprio nel 1842, la data che è segnata alla base dell’edicola. Tra l’Anno Domini ed il numero è inserito lo stemma araldico della famiglia feudale “Compagna” che dopo l’eversione della feudalità nel 1828 aveva acquistato i beni e i diritti dell’ex Feudo palmese. Ma quella famiglia conservava ancora gran parte delle proprietà montane e ancora riscuoteva dai terreni del Piano il censo (e lo riscuoterà fin nel primo quarto del XX secolo, quando o viene estinto una tantum dai singoli censuari o vi rinunciano nei fatti gli ex utili signori, perché la spesa per l’incasso era superiore all’introito). Il Signore Compagna fa dunque costruire un’edicola artistica con tanto di stemma araldico e di data e la fa collocare sull’edificio di sua proprietà all’inizio del caseggiato sangennarese. La religione, il culto verso il patrono principale del Regno di Napoli è il richiamo al passante a non provocare gli abitanti del luogo, è invito alla moderazione, è invito al rispetto. Come sulle porte delle mura cittadine c’era il santo protettore della città o del quartiere o del santo che dava il nome al varco di accesso così, dopo il vacuo, dopo il convento, il viandante incontrava il santo protettore del luogo che al luogo aveva dato il nome,all’atto in cui si introduceva nel caseggiato vero e proprio. Infatti tranne qualche masseria come i Ruocchi o i Marani o i Coteni che si svolgevano tutte all’interno dei poderi, nessuna casa si affacciava sulla pubblica strada, lo spiazzo era vacuo ed era così gelosamente conservato attraverso liti e controversie contro ogni usurpazione per preservare la sede della più importante fiera del territorio. Dunque il caseggiato partiva dal palazzo Compagna, di fronte al quale si prolungava ancora il muro del giardino conventuale, per diramarsi verso occidente con varie cortine e stradine come via Colomba sulla mano sinistra, e sulla destra la via che costeggiava il muro occidentale del giardino conventuale e poi nel largo Nunziata si diramava menando a contrada Ascoli dal lato sinistro e ai Rommafai e a Pozzoceraulo dall’altro; poco più innanzi, a circa 50 metri, si diramava la stretta stradina che portava ai Paoli. Tutto qui il centro. Il resto un po’ ai Sciuscelli e la rimanente popolazione dispersa in cortine o sparse sul territorio o nel più grosso agglomerato costituito da Contrada Roviglione poi trasformatasi in Giugliani o al Pagliarone con le varie cortine degli Ammaturo, Parisi, infarinati, Miccariello, ecc… .
A quale stile artistico possiamo inquadrarla?
Lo stile dell’edicola è neoclassico con qualche ornamento costituito dal timpano ornato da varie modanature presenti anche sui piedritti, alcune scalfitture e smangiature sulle punte estreme del timpano attozziscono la parte superiore del monumento. Sotto il piano di appoggio l’edicola appare mutila dell’ornato inferiore inspiegabilmente soppresso (esistente fino all’attuale sistemazione della facciata in marmo, operato negli anni novanta dello scorso secolo) che dava maggiore equilibrio all’opera e consisteva in un sotto mensola rientrante dalle cui estremità si originava un pennacchio curvilineo in bassorilievo terminante con una piccola goccia. Anche appesantisce il tutto la cornice di marmo che comprime l’agilità neoclassica della struttura. Insomma volevano abbellire, ma hanno combinato un disastro. Quando si mette mano ad un’opera di tal genere bisogna affidarsi ai competenti e non ai marmisti ricchi quanto vuoi, ma sostanzialmente incolti e per giunta presuntuosi.
Professore ci spieghi com’è strutturata?
Ed ora veniamo all’interno: si nota subito che l’immagine non è adattata all’edicola, ma l’edicola è costruita per comprendere l’immagine costituita da 15 riggiole policrome dipinte con grande perizia dal ceramista di cui, attualmente, non si conosce il nome, né per comparazione è stata attribuita la fattura. Lungo il perimetro dell’immagine una leggera cornicetta delimita la scena costituita dalla figura del santo benedicente con la mano destra sollevata a mezza altezza, vestita di paramenti vescovili solenni con mitria, pastorale e libro con ampolline caricate sulla sinistra della figura. In corrispondenza della mano benedicente col simbolo trinitario è collocato il caseggiato sangennarese ed in primis la cavallerizza del piano come allora appariva circondata da case e convento francescano oltre che dal verde abbondante del piano coltivato. La mano benedicente del santo protegge il caseggiato dai proiettili del Vesuvio in eruzione esplosiva che manda in aria i proiettili eruttivi infuocati. Ricordo che quando fu elaborata la bozza di stemma civico del Comune il ceramista Guarini di Salerno che provvide a realizzare il pannello collocato sulla facciata del palazzo municipale, si espresse in tal modo: “Lo stemma lo avete già nell’edicola del 1842 che segna la nascita del Comune sotto la protezione di San Gennaro dal fuoco del Vesuvio”. E allora senza più indugi quella figura fu proposta e divenne in modo linguaggio e forma araldica lo stemma del comune dopo 140 anni. Che il territorio si chiamasse col nome del santo già dall’anno mille lo abbiamo scoperto anni dopo.
Ai giorni nostri, la popolazione che tipo di importanza da a questi piccoli templi religiosi se così li possiamo chiamare?
Fai bene a denominare “tempio religioso”, poiché l’uomo fin dall’età più antica ha sempre avuto un forte legame con le proprie origini e la sua terra a tal punto da realizzare vere e proprie essenze religiose. Oggi, da come si può notare, sono ancora visibili questi simboli sacri del territorio, anche se i valori e le rimembranze stanno perdendo di significato. Le edicole votive creano una “recinzione” religiosa, una segnaletica fondamentale di una determinata comunità. Devo ammettere però che in questi ultimi anni si sta tentando di evidenziare nuovamente il territorio con i suoi punti cardini fra cui le tanto citate edicole votive, ma non basta il singolo serve l’intera popolazione per la rivalutazione. La speranza quindi è che si possa avviare un nuovo percorso seguito da una svolta civica che miri a migliorare il patrimonio artistico e culturale del nostro paese risorsa reale e concreta per lo sviluppo sociale ed economico.