Il mondo è stato invaso dai Kaijū, mostri orrendi che spuntano dall’Oceano Pacifico e distruggono tutto ciò che hanno a portata di zampa. L’umanità decide di creare i Jaegers, enormi robot umanoidi che vengono guidati da due piloti alla volta, collegati tra loro da un ponte neuronale e che gli permette di controllare ognuno un emisfero diverso della mente robotica. Per fare ciò, però, i due piloti devono essere in “sintonia” e scambiarsi i ricordi l’uno con l’altro, per potersi così fidare ciecamente della persona che hanno al proprio fianco. Purtroppo, visto l’arrivo di nuovi e potenti Kaijū, il programma Jaegers è a rischio eliminazione dalle potenze del globo. I piloti non ci stanno e, con gli ultimi 4 robot rimasti  e un manipolo di piloti fidati, decidono di provare a dare l’assalto alla Breccia, enorme falda nei fondali dell’oceano da cui, attraverso un varco spazio-tempo, arrivano i temibili Kaijū. Sarà una battaglia all’ultimo sangue.

Attesissimo, costato la bellezza di 200 milioni di dollari, arriva nelle sale, dopo la geniale trovata di anticiparlo con un video virale che dava l’allarme di un assalto Kaijū attraverso un finto telegiornale, Pacific Rim, nuova pellicola diretta (e prodotta) dal visionario regista Guillermo Del Toro. Il progetto di questo film è storia veramente vecchia, così come tutti i lavori o idee a cui mette mano Del Toro, combattuto tra la trasposizione di due episodi de Lo Hobbit, affidato poi a Peter Jackson (che ne ha tratto una trilogia) per via di beghe legali con la produzione (ma che ha comunque sceneggiato), e tra le idee preparatorie di Le montagne della follia (film che il regista vorrebbe estrapolare da un romanzo del maestro del macabro Lovecraft) e un Pinocchio, annunciato già da tempo e, probabilmente, in fase di preproduzione. Forse molti rimandi (e intuizioni) sono stati mantenuti da questi interessanti progetti e mischiandoli a molta cultura orientale (chiarissimo il riferimento al mondo delle “anime”, una su tutte la serie Neon Genesis Evangelion, di Hideaki Anno e al mondo dei robot nipponici, Goldrake, Daitarn e altri), nasce questo piccolo e potente film. Piccolo perché le idee (e le suggestioni) ci sono (tantissime), ma sono purtroppo lasciate in mano alla fin troppa spettacolarizzazione, che tramuta la pellicola in una “americanata” di quelle grosse, a tratti anche irritante; potente, però, per alcuni punti a suo favore come, appunto, le incredibili sequenze di lotta tra robot e mostri (arricchite stavolta e non sminuite dall’uso del 3D), create in Computer Graphic dalla Industrial Light & Magic e che meritano applausi, e l’interessante spunto narrativo (a cura, così come la sceneggiatura, non solo di Del Toro ma anche di Travis Beacham, autore dietro a Scontro tra titani). Certo la visionarietà del regista e la sua maniacalità per i dettagli si sente (ci ha messo 5 anni per portare a termine questo film, curando personalmente, a parte regia, soggetto e sceneggiatura, anche ogni singolo schizzo o idea sui costumi, i mostri, i robot, i loro componenti, ogni singolo storyboard, ecc) ed è fortissima (non scordiamoci della saga di Hellboy, di cui è in arrivo il terzo capitolo, del secondo episodio di Blade e dell’acclamatissimo Il labirinto del fauno): il suo lavoro (anche di montaggio) insieme a quello alla fotografia di Guillermo Navarro, crea un universo di mostri e robot davvero visivamente succulento. L’immagine è (iper)viva, i robot pulsano, hanno cuori nucleari, hanno cuori umani. Eccola la riflessione più interessante della pellicola, in bilico tra steampunk e Matrix: nonostante servano i robot (giganti di più di 80 metri) per combattere il Male, è sempre la mente umana ad avere la meglio, il suo essere unicamente intuitiva, ad avere quel barlume di unicità. Gli essere umani, anche se piccoli, hanno un cervello che non può essere sostituito da enormi computer. Ecco perché il robot deve essere comandato da un umano. E, cosa ancora più interessante, si considera il robot come perfetta trasposizione dell’uomo, dividendo il cervello (anche se elettronico) in due emisferi separati. La riflessione sulla connettività uomo-macchina (soprattutto nel cinema contemporaneo) è ricca e probabilmente Del Toro ha fallito l’occasione di aggiungere un tassello importante alla fantascienza cinematografica, perdendosi nelle vie del blockbuster facile facile. Il tutto, infatti, è contornato da una sceneggiatura non perfettissima, che stenta a far decollare la pellicola e attori non in forma, invischiati in stereotipi fin troppo prevedibili, soprattutto nella seconda parte del film. Tra tutti convincono di più Idris Elba, pilota pluridecorato a capo del servizio Jaegers e la sua “figlioccia”, Mako Mori, interpretata dalla affascinante Rinko Kikuchi; mentre restano nell’ombra, convincendo poco, gli altri attori, uno su tutti Charlie Hunnam, nel ruolo del pilota protagonista. Simpatici invece i personaggi (e i siparietti) comici pensati da Del Toro per alleggerire non solo la tensione, ma anche il ritmo, come il violento e avido trafficante di organi di Kaijū (Ron Perlman, l’Hellboy del film omonimo), il giovane appassionato di mostri (Charlie Day) che trova, insieme a un professore di matematica molto originale (Burn Gorman), il modo di mettere in difficoltà i terribili nemici dell’umanità.

Interessante anche il lavoro svolto sui costumi, curati da Kate Hawley, fidata collaboratrice del regista, che riesce comunque a fondere elementi della robotica con quelli dei classici dell’animazione nipponica. Menzione a parte merita la colonna sonora di Ramin Djawadi, che si divide tra cinema (il primo Iron Man), serie tv (Il trono di spade) e videogames (sua la soundtrack del noto Medal of Honor), che riesce a miscelare, in maniera originale, elettronica rock e arrangiamenti classici, non cadendo mai nella didascalicità e facendo delle musiche un personaggio aggiunto della pellicola. Un film che poteva dare sicuramente di più, Pacific Rim, con un ritmo pazzesco, scene di lotta incredibili e mozzafiato, che aiutano a non stancare (vista la lunghezza della pellicola), ma che si ferma sulle soglie dell’omaggio alla cinematografia orientale e al disaster movie più collaudato in territorio USA. Di certo, la tradizione dei Kaijū, da oggi, avrà un nuovo orizzonte da cui guardare (e combattere).