Il Vesuvio continua a fare parlare. E la paura, inevitabilmente, cresce. Soprattutto quando poi sono gli esperti a lanciare allarmi e raccomandazioni. Il vulcano napoletano, infatti, è stato indicato come quello più pericoloso tra le 1.300 bocche di fuoco attive in tutto il mondo. Dunque, per la popolazione da Napoli Est e sino ai confini con Salerno non c’è soltanto il terrore di vivere su una “bomba” pronta ad esplodere, ma addirittura la “aggravante” di essere adagiati su quella maggiormente a rischio, su quella causerebbe i maggiori danni una volta innescata.
Per il vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano, Sandro de Vita, infatti, «il Vesuvio è il vulcano a più alto rischio, considerando i tre parametri della pericolosità, del valore esposto e della vulnerabilità». «Ci sono nel mondo – spiega ancora l’esperto – vulcani potenzialmente anche più pericolosi del Vesuvio, ma si trovano in zone desertiche o poche abitate. Nella zona flegrea e vesuviana invece vive un milione di persone, una concentrazione di popolazione che non ha eguali. Fin dalla preistoria – afferma ancora De Vita – i napoletani hanno dimostrato la capacità di riprendersi da eventi anche catastrofici; hanno saputo interfacciarsi con eruzioni violente e riprendere la loro civiltà. Forse è per questo motivo che si continua a costruire in zone non sicure».
Proprio per comprendere le relazioni tra vulcanismo, l’ambiente e le comunità umane si terrà a Pisa, dal 16 al 18 settembre, nell’ambito della convention Geoitalia un incontro tra scienziati di varie discipline, provenienti da vari Paesi. «I vulcani e l’umanità sono da sempre strettamente collegati in un rapporto spesso vantaggioso ma talvolta catastrofico per l’uomo – conclude de Vita – quest’ultimo infatti, a dispetto del pericolo, ha sempre trovato vantaggioso insediarsi nei pressi dei vulcani, in virtù della fertilità dei suoli e della presenza di minerali e rocce utili come materiali da costruzione. Il vulcanismo nell’area vesuviana è iniziato almeno 400mila anni fa, come testimoniato dalle età di lave incontrate in perforazione nel pozzo Trecase ad una profondità di almeno 1.125 metri».