Era latitante da due mesi, quando riuscì a sfuggire al superblitz che il 17 giugno decimò il cartello criminale dei Gallo-Limelli-Vangone egemone in buona parte dell’area vesuviana ed a cavallo tra le province di Napoli e Salerno. Questa mattina, infatti, i carabinieri del Ros di Salerno hanno catturato il boss Vincenzo Starita, 49enne inserito nell’elenco dei latitanti più pericolosi d’Italia. I militari lo hanno trovato a Scafati, nel Salernitano, in un’abitazione al civico 10 di via Zara. Nei suoi confronti pendeva un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Napoli. L’arresto di Starita conclude l’operazione denominata “Meccanico” iniziata a giugno, quando su richiesta della Dda partenopea vennero ammanettate 18 persone accusate a vario titolo dei i reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, usura, ricettazione, detenzione, porto e vendita di armi comuni e da guerra.
E proprio per quanto riguarda l’utilizzo e la custodia delle canne da fuoco, Starita era il principale punto di riferimento della cosca vesuviana, considerato dagli inquirenti il vero e proprio armiere del clan. Le indagini sul gruppo di malavitosi sono state avviate dal Ros nel 2011 in quanto finalizzate alla ricerca dell’allora superlatitante Francesco Matrone poi catturato nei monti picentini un anno fa. I destinatari provvedimento del 17 giugno «costituivano – secondo gli investigatori – un circuito di soggetti dell’area vesuviana, a cavallo delle province di Salerno e Napoli, risultati dediti alla commissione di affari illeciti in materia di stupefacenti, armi ed usura, con l’indagato Ferdinando Cirillo di Pompei che guidava il giro di affari».
«In particolare – continuano gli “007” – sono stati documentati i legami criminali tra quest’ultimo e Giovanni Antonio Vangone, elemento apicale del clan vesuviano Gallo-Limelli-Vangone in materia di approvvigionamento di quantitativi variabili di stupefacenti che, a sua volta, Cirillo provvedeva a commercializzare attraverso una rete di acquirenti». Inoltre, tramite gli affiliati nell’area vesuviana, la cosca era il punto di riferimento per l’acquisto di armi da fuoco comuni e da guerra, in particolare fucili d’assalto Ak 47 Kalashnikov. Infatti proprio durante le indagini sono state documentate le trattative in atto tra Cirillo e gli esponenti di una consorteria di rapinatori dediti ad assalti armati a furgoni portavalori, interessati proprio all’acquisto di Kalashnikov e relativo munizionamento.