A pochi giorni dal suo rientro a Poggiomarino, il parroco padre Aldo d’Andria ha deciso di affidare ad un breve manoscritto e ad un incontro tenutosi martedì sera nei locali dei Santi Sposi la testimonianza della sua visita alla missione nel villaggio di Vudee in Tanzania, una comunità cristiana che vive nella regione nord del Kilimangiaro dove opera padre Valentino, sacerdote stimmatino di origini africane conosciuto per essersi formato ed aver svolto la sua attività pastorale anche qui a Poggiomarino.
Padre Aldo ha dedicato alle missioni larga parte della sua vocazione. Nei lunghi anni in cui è vissuto nelle Filippine ha fatto fiorire strutture e vocazioni, distinguendosi per l’impegno, l’umiltà e lo spirito di servizio con cui ha sempre svolto il suo incarico pastorale, ponendosi come interlocutore privilegiato dei poveri, dei giovani e delle famiglie.
Nel suo appassionato racconto, il sacerdote ricorda l’incontro col vescovo di Same: «sta lavorando ad una scuola per meccanici e ad una grande scuola primaria e secondaria. Mi interesso per vedere come aiutarlo»; i mezzi di trasporto di fortuna: «padre Valentino sta facendo riparare la sua vecchia Toyota: se non è del IV secolo poco ci manca. Ringrazio Dio perché proprio quella sera ha fatto mettere le nuove pasticche dei freni e gli anabbaglianti»; le difficoltà per raggiungere Vudee: «lasciata la strada principale, quella asfaltata, entrammo nel cuore della montagna: una strada sterrata, larga e bella inizialmente ma che, man mano che si saliva, si restringeva nel fitto buio, buissimo della foresta. Non una casa, non un’anima viva, nel buio più totale e impressionante. La strada, pericolosissima, con salite ripide e scoscese, si inerpicava tra i crostoni delle montagne e tra dirupi e burroni, altro che parapetti all’italiana! Non vi dico poi del forte vento che soffiava… la vecchia Toyota ballava e sembrava finire a pezzi calcando le pietre della strada»; la mancanza di ogni comodità: «sento forte il bisogno di una doccia, ma non trovo di meglio che un bel secchio di acqua fredda; uso un secchiello, così come facevo nelle Filippine»; il disagio fisico notevole: «ci vuole coraggio a stendersi su quei letti e ancor più a servirsi dei bagni… ma che si può fare? Bisogna adattarsi»; la paura per la malaria e per la propria incolumità: «un po’ di ansia mi è sempre venuta: sai… lo zio d’America potrebbe suscitare non poco interesse!»; l’impatto con la povertà più estrema: «la loro prima preoccupazione è riempirsi lo stomaco. Ho visto piatti stracolmi di riso misto a carne: i miei occhi erano spalancati dalla meraviglia per come un bambino o una donna avrebbero potuto mangiare tanto! Mi diceva P. Valentino che non è mai successo di avere tanta abbondanza di cibo»; ma anche l’amore di chi opera in condizioni tanto difficili: «”Avessi rifiutato l’incarico, questa gente come avrebbe potuto incontrare e conoscere il Signore, sperimentare la sua bontà e la sua grazia?”, mi ha detto padre Valentino. In queste sue parole ho ritrovato me stesso quando accettai di partire per le Filippine. Anche nella strada che ti fa paura, la strada brutta, la strada piena di ansie e di pericoli, l’amore di Dio ti parla, ti dice, ti si manifesta, ti chiede di perseverare nel cammino, di non arrenderti, di non tornare indietro sui tuoi passi ma di preferire Lui e i suoi progetti alle tue umane sicurezze»; e la gioia dell’incontro con oltre 200 persone, di cui quasi la metà costretta a tre ore di cammino per raggiungere la parrocchia: «di certo il Signore lavorerà in questi cuori semplici e generosi».
Padre Valentino e la sua comunità stanno scavando con le proprie mani una nuova strada sul fianco della montagna ed edificando altre costruzioni: uomini e donne lavorano come spaccapietre dandosi da fare per procurare materiale utile alle opere, anche se «trasportarlo fin quassù è costosissimo perché la strada è pericolosa e ripida, chiedono quasi 300 euro a camion. La Toyota di padre Valentino va su e giù, in salita e in retromarcia, per adempiere a questa necessità».
Pur avendo portato dall’Italia oltre 7mila euro, «espressione concreta della carità della comunità poggiomarinese verso una Chiesa più povera», padre Aldo ha tenuto a mettere in evidenza che il suo viaggio non è stato mosso tanto dall’esigenza di rispondere a bisogni e necessità materiali quanto dalla compassione, «da quell’essenza di fede e di carità che muove il cuore di ogni missionario e che dovrebbe muovere anche il cuore del cristiano, riassumibile nel motto: “Signore fa che vediamo ciò che c’è da fare e compiamo ciò che abbiamo visto”. Per far conoscere e sperimentare l’amore salvifico di Dio che tocca tutto l’uomo nella sua interezza, nella sua esistenza, creando ponti di comunione perché si realizzi davvero e al più presto il sogno di Gesù».
In conclusione, c’è spazio anche per una riflessione sull’essenzialità: «ho più volte ringraziato il Signore di avermi fatto nascere in Italia. Pur nella precarietà attuale,dobbiamo sempre ringraziare il Signore di quanto ci ha dato e continuamente ci offre guardando le condizioni di vita,l’esistenza e lo stato di enorme povertà in cui versano tanti nostri fratelli, in questo caso dell’Africa».
Quale strumento nelle mani di Dio, padre Aldo è felice nel sentire che ora c’è qualcosa di suo anche nella crescita di questa Chiesa africana, «un germoglio di vita e di speranza. Dobbiamo essere più aperti ai bisogni e alle necessità di quanti soffrono: non si condivide perché si è ricchi, la condivisione nasce dalla convinzione che siamo tutti fratelli e solo dandoci una mano a livello umano e cristiano saremo in grado davvero di costruire la civiltà dell’amore».