La storia del biblico Noè, dall’adolescenza fino all’età in cui “il Creatore” gli chiede di salvare se stesso e la sua famiglia dal diluvio universale, che spazzerà via dalla Terra il Male. Nonostante una schiera di angeli caduti, non sarà facile sopravvivere ai dubbi e continuare ad avere Fede.
Il ricordo più vivido che ho del Diluvio Universale è quello lasciatomi da un film bellissimo, del 1966, diretto da John Huston e intitolato proprio La Bibbia. L’episodio che mi ha sempre affascinato era proprio quello dedicato a Noè, che, non a caso, era interpretato proprio dal regista. Il film è (tutt’oggi) eccezionale e, oltre ad avere una colonna sonora e una fotografia eccellenti, era diretto in maniera perfetta, riuscendo, allo stesso tempo (cosa complessa quando si toccano temi delicati come quelli biblici), a dare un senso di ritmo e rigorosità, senza appesantire trama e spettatore.
Non si può dire lo stesso, purtroppo, del recente Noah, nuova impresa cinematografica dell’acclamato Darren Aronofsky. Genesi lunga (e scusate il gioco di parole) quella di Noah, che nasce prima come fumetto (illustrato da Niko Henrichon e di cui potete leggere QUI) e poi, trasposto sul grande schermo, mantenendo la stessa coppia di sceneggiatori del volume: lo stesso Aronofsky e Ari Handel. Probabilmente i due, volevano lasciare intatta nel film (che co-producono) l’atmosfera che si respirava nel fumetto: si parla poco (e male) in Noah, a narrare sono (solo) le immagini e i suoni. Immagini, appunto, lasciate al lavoro della Industrial Light & Magic (il nome George Lucas vi dice niente?) che con un budget di 125 milioni di dollari, confeziona immagini da kolossal, riuscendo, però, a stupire poco, creando animali stravaganti e mai esistiti (per richiesta del regista) e sequenze (come quella dell’impatto dell’acqua sull’arca) che, comunque, colpiscono occhio e spettatore. Il lavoro interessante invece sta nell’apporto di due fidati collaboratori di sempre di Aronofsky: il direttore della fotografia Matthew Libatique e il compositore Clint Mansell.
Il primo riesce a dosare bene immagine (finta direbbe qualcuno) e luce, creando ambienti e (soprattutto) corpi che, se non convincono al cento per cento, riescono a comunicarci squarci di interiorità. Il secondo è perfetto a creare un mix di elettronica e suoni presi dalla natura e miscelarli, puntellando la pellicola di importanti tasselli sonori. Il tutto condito con la ricerca registica di Aronofsky, che ci regala un altro film da “manuale” (e con il suo personalissimo stile, che tanto lo fa odiare da molti), con alcune trovate vincenti (la camera a “volo d’uccello”) o omaggi diretti a maestri del passato (il già citato La Bibbia), colleghi (Spielberg o Lucas ad esempio) o a se stessi. Sì perché il personaggio di Noè (interpretato da un non convincentissimo Russell Crowe) ha tutte le caratteristiche del protagonista del precedente The Wrestler. Oltre alla fisicità, Noè è un uomo (come la maggior parte dei personaggi aronofskiani) in cerca di un equilibrio, prima interiore e poi con chi lo circonda. Il richiamo al film citato arriva quando Noè entra nel villaggio di chi vuole assalirlo. L’inquadratura da dietro lo mostra incappucciato, davanti a fiamme e folla. Come se stesse per salire su un ring. Ed è quello che accade: Noè si batte per tutto il film, sia fisicamente, ma soprattutto, interiormente. Crede ciecamente in quello che gli hanno insegnato e che gli viene chiesto, ma allo stesso tempo arriva a dubitare perfino di se stesso, cadendo in una crisi profonda. La domanda che arriva a farci porre il regista è “chi ha la colpa maggiore? Qual è la differenza tra fare del Male a fin di bene e fare del Bene per far poi sopravvivere il male?” Domande lasciate a una sceneggiatura che, nonostante il soggetto fosse “secolarmente” interessante, fa acqua da tutte le parti, con una durata eccessiva e alcune trovate (il serpente del Male o gli angeli caduti) che sfiorano il ridicolo. Non riescono a convincere in pieno nemmeno gli attori, Jennifer Connelly (moglie di Noè) e Ray Winstone (cattivone di turno) provano a stare una spanna sopra gli altri, che non riescono a imprimere molta emotività ai loro personaggi: Emma Watson (peccato), Logan Lerman (visto proprio con la Watson nel bellissimo Noi siamo infinito) o il povero Anthony Hopkins nel ruolo di Matusalemme.
Film comunque che affascina Noah, che riflette sull’eterno dilemma Fede/Intelligenza, innescando metafore teologiche di basso tiro, ma che comunque centrano il bersaglio delle nostre coscienze. I fan di Requiem for a Dream o The Wrestler cerchino altrove: lo stile c’è, ma, forse, inondato dalla potenza delle immagini.
N.B.: sul sito ufficiale della pellicola, potrete esplorare, da cima a fondo, l’arca di Noè.
Potrete vedere Noah in queste sale:
-NAPOLI
La Perla Multisala
Med Maxicinema The Space Cinema
Metropolitan
Modernissimo
Plaza Multisala
-AFRAGOLA
Happy Maxicinema
-CAPRI
Paradiso
-CASALNUOVO
Magic Vision
-CASORIA
Uci Cinemas
-CASTELLAMMARE DI STABIA
Complesso Stabia Hall
Montil
-ISCHIA
Excelsior
-NOLA
The Space Cinema Vulcano Buono
Multisala Savoia
-POGGIOMARINO
Multisala Eliseo
-PORTICI
Roma
-POZZUOLI
Multisala Sofia
-TORRE ANNUNZIATA
Politeama
-SALERNO
The Space Cinema Salerno
San Demetrio