Prima guerra mondiale: nel freddo delle montagne dell’Altopiano di Asiago, sul fronte Nord-Est, si combatte, sotto spesse coltri di neve, la “guerra bianca”, dove si aspetta, tra un colpo di cannone e una fucilata, la prossima carica del nemico. Un giovane ufficiale viene catapultato nell’inferno della trincea, dove ogni secondo che passa, i confini tra la vita e la morte, l’uomo e la bestia, il nemico e il compagno, la razionalità e la follia diventano sempre più labili e indistinguibili.
Di film sul primo conflitto mondiale il nostro cinema ne ha prodotti tanti. Due su tutti: La grande guerra di Mario Monicelli, con la strepitosa coppia Sordi-Gassman, e Uomini contro, di Francesco Rosi, con il grande Gian Maria Volonté; senza dimenticare che anche Stanley Kubrick, con il suo Orizzonti di gloria, aveva catapultato Kirk Douglas nell’inferno della trincea. Ma l’atmosfera che si respira (quasi a diventare potentemente materiale) in Torneranno i prati, nuovo, bellissimo, film del maestro Ermanno Olmi, uscito nell’anno commemorativo del centenario dello scoppio della guerra, è ben diversa da quella rappresentata nei film appena citati. Olmi già si era approcciato, in minima parte, al tema della prima guerra mondiale, con il film per la televisione I recuperanti, di cui questo nuovo lavoro potrebbe considerarsi come una sorta di drammatico prequel. La straordinarietà di Torneranno i prati, comunque, sta nel riuscire a mettere insieme un cast (di attori e tecnici) che con talento e visionarietà, bravura e precisione, Storia e finzione, accompagnano lo spettatore nel tentativo, riuscitissimo, di narrare uno dei momenti più brutti della nostra Storia. Olmi, traendo spunto dal racconto La paura di Federico De Roberto, scrive una sceneggiatura asciutta e precisa, colma di paurosi silenzi, dialoghi sussurrati e incorniciati nei dialetti di tutta Italia (fondamentale punto a favore della pellicola, la sua plurilinguisticità), riuscendo a farci respirare l’atmosfera terrorizzante che circondava gli uomini mandati in guerra, attraverso l’utilizzo mirato di meccanismi temporali precisi, dilatando tempo e spazio, facendo “implodere” (e il gioco di parole è volutissimo) più di due ore negli ottanta minuti della pellicola. Film girato a mille e passa metri d’altitudine interamente in 4K (è il primo in Italia) e che ha l’ausilio fondamentale e necessario alla fotografia di Fabio Olmi (figlio del regista), che crea, grazie a un perfetto gioco di luci e ombre, una sorta di gigantesco cappotto cromatico, virato maggiormente sul bianco (quello della neve, delle montagne, del silenzio, della tranquillità, dell’animo dei protagonisti) e sul nero (quello della morte, del sudore, del dolore, della solitudine, dell’orrore), capace di scavare nell’animo di ogni singolo protagonista, ognuno preciso rappresentate di un preciso sentimento dell’animo umano. Il lavoro fatto sulla fotografia è portante per tutto il discorso metaforico veicolato dalla pellicola olmiana: tramite un particolare procedimento di inversione sui colori della pellicola, ad esempio, il bianco e nero appaiono accentuati, estremizzati, ad aumentare, con chirurgica precisione, la drammaticità delle sequenze e delle inquadrature (esemplare in questo caso la sequenza, eccezionale, del bombardamento sul rifugio o quello del ripiegamento tra le nevi), accentuando ancora di più, il senso pittorico ed estremamente estetico che si vede ad singola inquadratura, vere “tele filmiche”. Gioco di chiari scuri accentuato dalla straordinaria interpretazione di tutto il cast (nessuno escluso) e dall’ausilio importantissimo del suono curato da Francesco Liotard: il suono dei campanelli sul filo spinato, il rumore assordante delle bombe, lo scandire delle vite attraverso il continuo e inesorabile rimbombo delle esplosioni in lontananza, come una sorta di spietata lancetta dei secondi, a ricordare a tutti i protagonisti che tempo e spazio, durante la guerra, lentamente, diventano concetti di difficile confinamento. Così come le relazioni interpersonali o quelle che riguardano la fede o la personale visione dei concetti di Bene e Male: la guerra riesce a trasformare uomini in spietati automi, è una macchina implacabile, è “una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai”, citando le parole del pastore Toni Lunardi, impresse nei titoli di testa del film. Precisa e minuziosa la ricostruzione di uniformi, abiti, oggetti e armi: perché la Storia, quella vera e sofferta, è fatta anche di ricordi materiali e non solo emotivi (quelli che invadono lo spettatore quando uno e più protagonisti fissano lo schermo in avanti, squarciando l’inquadratura, fissando la sala, come a urlare la loro “ingombrante” presenza nel ricordo di tutta la Storia della Nazione). Preziosa la colonna sonora lasciata alle note soffuse e sofferte di Paolo Fresu. Peccato per la distribuzione in non tantissime sale di questo capolavoro. Ne meriterebbe molte di più. Fondamentale per il nostro Cinema è il maestro Olmi, fondamentale questo film, strumento di memoria e ricordo perenne dell’Orrore della guerra. Da rivedere e rivedere, per restare, nonostante il tema, sempre affascinanti dinanzi a una vera, piccola, incredibile opera d’arte.
Potrete vedere Torneranno i prati in queste sale:
-NAPOLI
Filangieri Multisala
-NOLA
Multisala Savoia
-SALA CONSILINA
Adriano