Il profumo di vaniglia e cannella che arricchisce il cioccolato e pervade le papille gustative e le vie olfattive. Magari un savoiardo da “inzuppare”. E tanta ritualità. È il sanguinaccio: uno di quei dolci carnevaleschi Made in Vesuvio. E dalla nostra cultura esso trae la sua origine.

Del maiale non si butta via nulla, recita il vecchio detto. E se per svariate ragioni, questo modo di dire non è più realmente messo in pratica, è indubbio che resta uno di quei saggi che tramanda con se un legame con le radici e con la tradizione che l’uomo moderno farebbe bene a preservare. Neppure il sangue del maiale andava sprecato. Era finanche utilizzato a scopi terapeutici, sopperendo così alla mancanza di ferro sia per le donne durante il periodo mestruale, sia per gli anemici. E così è stato nella provincia Vesuviana per tanti secoli. Tuttavia, considerando che il sangue è veicolo di malattie trasmissibili, la storica usanza panacetica del sanguinaccio, è stata abolita, in Italia, nel 1992 per evitare il diffondersi di infezioni. Ma nei paesi di campagna (e in via illegale) il sanguinaccio è ancor preparato nella sua versione tradizionali, e facilmente reperibile nei mercatini.

L’abbinamento del maiale con il carnevale è legato al legame dell’uomo con il ciclo delle stagioni: nelle campagne del medioevo, così come in alcune campagne ancora oggi, esiste una procedura per la preparazione del maiale – consistente nel suo veloce ingrassamento, nella sua brutale uccisione e successivo essiccamento – che termina tra i mesi di gennaio e febbraio, momento dell’anno in cui il contadino non può beneficiare dei frutti della sua terra. Ma è anche l’unico momento in cui egli solo gusta la prelibatezza di un cibo prettamente destinato alle tavole dei ricchi e della nobiltà, assottigliando almeno per qualche ora, le differenze sociali. E poi il carnevale rappresenta il carnem levare (“eliminare la carne”) poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della quaresima. Cosa c’era di più grasso e carnoso del maiale per celebrare la fine del periodo?

La versione moderna del sanguinaccio, perde il sangue, non lascia certo la bontà, ma non è più il simbolo della cultura del sacrificio, della conservazione, della lentezza, dell’attesa, della cura, tanto estranei al nostro tempo. Un passaggio dal passato al presente che speriamo almeno non cancelli la memoria di un dolce, che non era semplicemente un dolce, ma un tipico esempio di fare Made in Vesuvio.