Quattro amici storici si ritrovano per una cena. C’è l’uomo in carriera, fratello della padrona di casa, donna che ha sposato uno stressantissimo professore di lettere, perennemente incollato ai social. A loro si aggiunge un musicista e la moglie del ricco fratello, scrittrice da poco e uscita dall’inferno della periferia. Lo scherzo sul nome di un prossimo nascituro farà scoppiare la gara allo svelamento dei segreti nascosti da ognuno dei commensali.
Dopo cinque lunghi anni dall’intenso Questione di cuore, Francesca Archibugi torna nelle sale italiane con il suo nuovo lavoro: Il nome del figlio. Torna con un film molto interessante, scritto in maniera perfetta e interpretato in maniera altrettanto convincente. Il soggetto è tratto dall’esplosiva commedia teatrale francese Le Prénom di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, i quali, nel 2012 ne hanno realizzato anche una versione cinematografica, in Italia arrivata con il titolo Cena tra amici, e che gli è valsa le nomination e alcune vittorie ai premi César del 2013. Certo è che qui l’adattamento è di salsa sopraffina, realizzato con piglio sicuro e rispettoso del testo originale, a differenza di molti recenti (e non) casi di remake o adattamenti italiani (si pensi al già recensito Un fidanzato per mia moglie, che, tra l’altro, ha in comune con questo film lo sceneggiatore) che hanno lasciato un po’ di amaro in bocca. Il film della Archibugi è, invece, importante punto di partenza per riflessioni politiche, sociali, emotivi, narrativi: si sente forte il richiamo a un’opera strepitosa come Carnage di Roman Polańsky (tutti sono sempre sul punto di andar via ma non ci riescono mai, uscendo una sola volta da casa, innescando continue micce narrative che come castelli di carte cadono al minimo soffio di “nuovo” per essere subito ricostruiti con nuove premesse), ma non ci si entra mai di diritto, restando comunque sul terreno, sicuro, del “cinema teatrale”, fatto con estrema professionalità e sicurezza. Il pericolo, infatti, era cadere nell’omaggio, nella replica, nella troppa teatralizzazione, cosa che Il nome del figlio non fa mai, grazie a una sceneggiatura solida, scritta in maniera precisa, proprio dalla regista e da Francesco Piccolo (richiamato già sopra), che riescono a modellare la piece francese sul “sistema Italia”, giocando con Passato e Presente, lanciando continui rimandi alla nostra Storia (politica e sociale). Il lavoro di trasposizione è supportato da due componenti fondamentali: la regia e il cast. Per quanto riguarda la prima, la Archibugi è narratrice impareggiabile, usando la macchina da presa come si faceva una volta, scavando nella vicenda, prendendo per mano lo spettatore, iniettandogli piccole porzioni di vita dei personaggi, intervallate da intelligenti flashback (forse proprio in questi punti la pellicola perde qualche punto, cadendo in minuti di agiata scontatezza quasi televisiva, ma sempre tenendo la testa sulla narrazione, sui personaggi, sulla Storia), correndo dietro ai protagonisti, tallonandoli (si pensi anche alle riprese con la camera nell’elicotterino), con volate di macchina strepitose, enfatizzate dalla bella fotografia di Fabio Cianchetti (ne accennammo anche nella recensione de L’ultima ruota del carro), che riesce a incorniciare perfetti momenti di luce e buio aiutando così, ancora e fondamentalmente per questo genere di pellicole, l’interpretazione degli attori. Questi ultimi sono il secondo asso a favore del film. Nonostante i protagonisti fondamentali siano cinque, due sono i veri mattatori: Alessandro Gassmann (nel ruolo dello sfacciato padre del bambino che dovrebbe chiamarsi “Benito”) e Luigi Lo Cascio (nei panni del cognato di Gassmann). Entrambi si eguagliano e superano a vicenda (il primo, forse, a tratti supera il secondo), mettendo in scena un binomio politico, sociale ed emotivo perfetto, anche da punto di vista fisico (si veda Gassmann, alto e muscoloso, contrapposto all’esile Lo Cascio e vestito in maniera sciatta), caratteriale ed espressivo (ancora: Gassmann sempre pronto al dialetto, Lo Cascio preciso e meticoloso nell’uso della parola, non solo “parlata”, ma anche “digitata”, attraverso il costante attaccamento ai social). Entrambi però, da grandi attori quali sono, regalano ai loro personaggi un’aura di instabilità perfetta, cambiandosi anche di ruolo, facendo in modo che la vicenda si tramuti in una sorta di encefalogramma, con continui picchi di felicità intervallati a furiosi momenti di rabbia. In ombra, purtroppo, il cast femminile, con una Valeria Golino comunque divertente e impegnata e Micaela Ramazzotti, contraltare preciso della narrazione, sorta di personificazione dello spettatore, che è l’unica detentrice della “verità”, dello sguardo “altro”, del “prendere le distanze”. Inutile e fuori fuoco la parte affidata a Rocco Papaleo, che riesce, ancora una volta, a regalare un’interpretazione difficile da catalogare. Il nome del figlio resta comunque un film riuscito, una trasposizione fedele di un soggetto strepitoso, che ha trovato nella Archibugi e i suoi attori un fertile terreno di rappresentazione. Mascherando tutto sotto l’ironia dei segreti, personali, politici ed emotivi. Il pugno alla società è forte, ma non mortale. E gli scheletri nell’armadio ci sono… sempre.
Potrete vedere Il nome del figlio in queste sale:
-NAPOLI
America Hall
Filangieri Multisala
La Perla Multisala
Med Maxicinema The Space Cinema
Modernissimo
-AFRAGOLA
Happy Maxicinema
-NOLA
Multisala Savoia
-SALERNO
The Space Cinema Salerno
-TORRE ANNUNZIATA
Politeama