Il gip ha deciso, il presunto caso di malasanità che ha portato alla morte di Aniello Curcio, 73 anni di San Gennarello di Ottaviano, non sarà archiviato. Anzi, il legale della famiglia, Fabrizio Gambale, è riuscito a fare riaprire il faldone contro sette medici dell’ospedale di Nola che adesso sono accusati a vario titolo di non essersi resi conto e di non avere fatto tutto quanto necessario per combattere la patologia respiratoria che aveva colpito l’anziano.
Curcio, è giusto ricordarlo, era tracheostomizzato a causa di una grave forma di enfisema polmonare ed è deceduto per le conseguenze di una bronchite con pleurite, malattie che secondo il nipote Felice Barone, autore della battaglia legale, si sarebbe buscato all’interno del nosocomio, dove era andato a fine dicembre «per effettuare le normali operazioni di manutenzione dell’apparecchiatura» che gli serviva a respirare con meno fatica. Insomma, il 73enne avrebbe dovuto lasciare il letto d’ospedale nel giro di massimo uno o due giorni ma poi sono sopraggiunti gli altri problemi sino al decesso avvenuto alle 5,15 del 5 gennaio.
A destare particolare clamore, secondo il gip, fu l’esame dell’espettorato dapprima previsto per il 29 dicembre e poi eseguito soltanto il 4 gennaio quando ormai era inutile visto l’espandersi dell’infezione. Secondo il giudice per le indagini preliminari, infatti, la settimana intercorsa per rendersi conto del batterio potrebbe essere stata decisiva per il decesso del paziente. Il gip scrive ancora che la conclusione di “morte improvvisa” «appare non coerente, siccome il personale sanitario conosceva l’esistenza della sepsi in atto pur non trattandola con antibiotici adeguati all’episodio clinico».
«In questa ottica – insiste il Gip – appare essenziale un nuovo esame della vicenda alla luce di tutta la documentazione acquisita e della consulenza del medico di parte, al fine di pervenire ad un giudizio quanto più netto possibile sulle cause della morte di Aniello Curcio e su eventuali responsabilità dei medici», tutti operatori sanitari dei reparti di pronto soccorso e di pneumologia dell’ospedale di Nola. Insomma, decisiva a fare riaprire il presunto caso di malasanità è stata la relazione del consulente di parte, il medico legale Carlo De Rosa docente dell’università di Catanzaro, che è riuscito a dare nuova luce alla vicenda.
Tra le altre cose, inoltre, i parenti della vittima vorrebbero accertare le motivazioni di una profonda ferita dietro alla testa ritrovata sul corpo senza vita, una lesione ampia da cui anche dopo il decesso continuava a scorrere sangue. Dall’ospedale la replica è arrivata, e si è parlato di piaga da decubito. Ad ogni modo il gip ne parla, anche se da nessuna relazione si evince che la lesione possa essere stata in qualche modo causa del decesso del pensionato.
Il nipote Felice Barone spiega: «Voglio che venga fatta chiarezza sulla morte di mio nonno, temo che non sia stato curato in maniera adeguata. Io ero sicuro, come al solito, di andare a riprenderlo due giorno dopo il ricovero, invece è uscito dal nosocomio dopo una settimana e senza vita».