Nell’immaginario collettivo i mesi di luglio ed agosto sono votati alla vacanza, nell’accezione più ampia del termine. Ci si mette all’ombra dagli impegni e dalla quotidianità per esporsi al divertimento e al relax. E questo è un dato che accomuna tanti villeggianti che fino a qualche settimana fa hanno affollato le spiagge. Tuttavia ciò che vale per molti, non vale per tutti. Gli ultimi fatti di cronaca, consumati, emotivamente, alle pendici del vesuviano, dimostrano che non si va in vacanza dal dolore. Nell’afa di inizio agosto stentavano ad asciugarsi sui visi dei concittadini insieme al sudore, le tante lacrime per le premature morti di Ginevra e di Mario, i cui occhi azzurri sono gonfi di quella stessa speranza che animava il sorriso della piccola. Quale rimedio? Nessuno. Eppure il Vesuvio risponde, con il suo manto giallo di ginestre. Che c’entra la ginestra? Molti non sanno che è il fiore della speranza, che resiste ed ha resistito anche ai terribili roghi del 2017.

Già Leopardi ne cantava le lodi nei suoi memorabili versi. Il fiorire della ginestra sull’«arida schiena» del formidabile «sterminator Vesevo» che mai si addormenta o affievolisce la propria minaccia di distruzione, e che nasce proprio dai resti anneriti della vita annientata dal fuoco che l’ha preceduta, infonde una duplice speranza, all’aridità del terreno, e, al deserto dell’animo umano affranto dal dolore, di poter tornare a fiorire nuovamente.