Nei primi tre anni di vita il Reddito e la pensione di cittadinanza sono stati erogati a quasi 2 milioni di nuclei familiari. Per un totale di 4,65 milioni di persone, e una spesa complessiva che si aggira sui 20 miliardi di euro. A scattare la fotografia è l’Inps in un rapporto dedicato ad uno degli interventi che è stato e resta al centro di un infuocato dibattito politico. Neonati e centenari, famiglie numerose e single, studenti e lavoratori, pensionati, inattivi e disoccupati. Un bacino consistente, articolato, eterogeneo, accomunato dalla mancanza o dalla scarsità di un reddito familiare.
Ma a distanza di 33 mesi dall’avvio del provvedimento il 70% di quelli che fecero domanda nell’aprile del 2019 risulta ancora beneficiario dell’assegno. Un dato che conferma come il provvedimento abbia di fatto assolto essenzialmente ad una funzione assistenziale. Bucando, quasi del tutto, quella missione originaria di fare da tramite all’ingresso del mondo del lavoro. La persistenza, come spiega ancora l’Inps sembra essere soprattutto legata alla nazionalità del richiedente, alla composizione del nucleo, all’area geografica di residenza e a indicatori economici.

La platea
E se per il 48,1% della platea del 2019 la ricerca di un’eventuale posizione lavorativa non era di interesse in quanto “minorenni, anziani, disabili, titolari di pensione”. Anche per quel 58,2% della platea che sarebbe potuto essere ‘teoricamente occupabile’ molti erano i fattori ostativi. “L’anzianità contributiva totale maturata ai fini del diritto alla pensione era in media di circa 6 anni. Soggetti dunque che all’atto della prima domanda di Rdc erano da almeno quindici mesi fuori dal mercato del lavoro attivo e senza neanche prestazioni a sostegno del reddito, congedo di maternità, malattia, eccetera. L’età media elevata e l’anzianità contributiva bassa evidenziano uno scarso attaccamento al mercato del lavoro”, spiega l’Inps.