La riforma del fisco, in particolare quella relativa al taglio dell’Irpef, ha rimodulato i vari strumenti di sostegno ai cittadini. Diversi cambiamenti hanno riguardato percettori di buste paga, pensionati, famiglie e autonomi. Nello specifico, il taglio delle imposte sul reddito delle persone fisiche ha influito anche sul trattamento integrativo. Si tratta della misura di sostegno comunemente nota come “bonus Renzi”. In realtà, il sostegno nasce con questo nome ed è inizialmente un bonus di 80 euro in busta paga. Successivamente, il bonus è stato convertito in trattamento integrativo ed incrementato a 100 euro.
Il trattamento offre tre opzioni ai percettori: quella classica mese per mese in busta paga; quella a conguaglio a fine anno da parte del datore di lavoro; la rinuncia al sostegno per poi richiederlo con il modello 730. Quest’ultima ipotesi, tuttavia, è quella considerata più saggia. Infatti, nelle opzioni alternative c’è il rischio di dover restituire il bonus, che nell’arco dell’anno equivale a 1200 euro.
Ciò accade perché il trattamento integrativo, specie con la riforma dell’Irpef, non è dovuto a tutti. Se si sceglie di riceverlo in busta paga, il datore di lavoro erogherà l’intero trattamento di 100 euro perché non conosce la situazione reddituale complessiva del dipendente.
Si corre, in tal modo, il rischio di ricevere una somma che successivamente va restituita. La scelta più opportuna è quella di effettuare il 730 e in quella sede integrare nei conteggi anche l’eventuale quota del trattamento integrativo spettante. La scelta, quindi, va ponderata attentamente per non ritrovarsi con una sorpresa spiacevole e poco gradita in seguito.
fonte: consumatore.com