Arriva la “pensione anticipata flessibile” ma con un tetto sull’assegno e divieto di cumulo. C’è l’adeguamento all’inflazione ma solo per le pensioni fino a 2.100 euro: per tutti gli altri assegno ridotto rispetto alle attese con minori guadagni da oltre 400 euro annui. Da quota 103 al nuovo metodo di calcolo per rivalutare gli assegni al caro vita, le novità in materia di pensioni introdotte dalla manovra lasciano aperti alcuni nodi. Ai quali si aggiungono i dubbi anche intorno alla nuova Opzione donna.
Cosa cambia
A destare le maggiori preoccupazioni è il nuovo meccanismo di perequazione delle pensioni, che segna un ritorno alle “fasce” al posto dei più favorevoli tre “scaglioni” Prodi ripristinati lo scorso anno dal governo Draghi. Di fatto, dal primo gennaio, l’adeguamento all’inflazione (che un decreto del ministro dell’economia Giorgetti ha fissato al 7,3%) sarà pieno solo per gli assegni uguali o inferiori a 4 volte il minimo (2.096 euro lordi), ma oltre quella soglia scattano tagli progressivi.
La rivalutazione quindi sarà dell’80% per la fascia 2.096-2.620 euro; per poi scendere progressivamente al 55%, al 50%, al 40% e infine al 35% per le pensioni superiori a 10 volte il minimo (5.240 euro lordi). Ciò significa che chi percepisce 2.600 euro lordi, vedrà la propria pensione salire di 146 euro (la rivalutazione all’80% si traduce in un +5,84%), ma perdendo rispetto al vecchio sistema circa 34 euro al mese e 446 l’anno. Per un assegno di 3.100 euro lordi si arriverà ad intascare 110 euro al mese in meno.