Auro Monti, titolare dell’Arcades 80055: “La nostra unica certezza è che niente sarà più come prima”.
Auro Monti ha 34 anni. Ed è uno di quei giovani intraprendenti e coraggiosi che ha fortemente voluto scommettere sulle potenzialità della sua terra. Di anni ne aveva solo 26, quando, 8 anni fa, aprì l’Arcades 80055, american bar a due passi dalla Reggia di Portici. Cucina genuina e cocktail originali per esaudire le richieste dei turisti in visita alla dimora borbonica perla del Miglio d’oro, degli studenti della Facoltà di Agraria e del popolo della movida.
Poi la chiusura, improvvisa. Una batosta. Tutta colpa del virus venuto dall’Oriente, che, seppur invisibile, ha avuto la stessa furia distruttiva di un uragano. Sgretolando certezze e infrangendo sogni. Lo si capisce dalle parole di Auro, che sono poi quelle di tanti altri piccoli ristoratori che hanno investito anima, corpo e soldi nelle loro attività. “Oggi il locale rappresenta un’incognita, non più un’opportunità o una fonte di reddito – spiega -. L’unica certezza che abbiamo noi ristoratori è che niente, nel nostro settore, sarà più come prima”.
Altro che Fase 2 o 3.
“Già. Parlo della mia situazione: dovremo ridurre i posti a sedere, rinunciare a feste di laurea, compleanni, battesimi, aperitivi, serate live, buffet, tavolate di amici. Le nostre attività si basano sulla condivisione, sullo stare insieme. Per intenderci senza troppi giri di parole: l’assembramento era proprio ciò che ci dava da mangiare”.
Pensi che le persone avranno ancora voglia di ritrovarsi in un locale?
“Non credo proprio che saranno disposte a cenare divisi da un muro di plexiglass o di entrare in un locale con la paura di poter contrarre il virus. Quindi saremo costretti a lavorare con la metà della metà dei nostri servizi, avendo comunque le stesse spese di quando si lavora a pieno ritmo. Anzi, paradossalmente aumenteranno visto che dovremo accollarci i costi di sanificazioni, prodotti igienizzanti, guanti, mascherine, grembiuli usa e getta, copri-scarpe e pannelli in plexiglass”.
Finora che tipo di aiuti hai ricevuto da governo e Regione?
“Soltanto i 600 euro del governo che sono serviti a poco. Basti pensare che la prima bolletta arrivata durante il lockdown ammontava a quasi 800 euro e che una parte di quei 600 è stata trattenuta dalla banca per pagare uno scoperto che non ero riuscito a coprire. Ecco: avrei voluto un aiuto concreto nel pagamento di fitti e bollette, che continuano ad accumularsi. Prima o poi sarà inevitabile non riuscire a rispettare tutti gli impegni. Eppure…”.
Eppure?
“Eppure la gente continua a pensar male di commercianti e ristoratori. Molti commettono l’errore di credere che gli incassi finiscano interamente nelle nostre tasche. Non è così: dobbiamo pagare fitto, bollette della luce, acqua, gas, fornitori, servizi, tasse. E spesso non ci resta neanche un euro. Invito tutti a riflettere bene prima di accusare chi denuncia perdite di 2mila euro a settimane. Non si può certo condannare un’intera categoria per pochi furbetti. Sarebbe come chiedere il ritiro delle pensioni d’invalidità perché c’è gente che finge di essere invalida”.
Sanificazione tutti i giorni, meno coperti per garantire il distanziamento, ingressi contingentati: come imposterai il tuo locale?
“In questa fase vivo alla giornata. Proveremo a lavorare solo con l’asporto e cercheremo di capire cosa conviene fare per cercare una leggerissima forma di ripresa”.
Se Conte venisse a prendere un caffè all’Arcades, cosa gli chiederesti?
“Credo che Conte sia il capro espiatorio di chi non vuole capire che è il “sistema Italia” a non funzionare. Una situazione che è il risultatodella malapolitica italiana degli ultimi 40 anni. Non mi sento di giudicarlo per ciò che ha fatto o che avrebbe potuto fare, gli chiederei semplicemente di essere un po’ più sincero e diretto. Oggi abbiamo bisogno di verità amare piuttosto che di dolci bugie. Abbiamo diritto di sapere, perché per troppo tempo ci è stato chiesto di credere a prescindere”.
Sarà vera ripartenza?
“No, una falsa ripartenza. Spero di sbagliarmi ma prevedo tempi durissimi per il nostro settore. Siamo figli di uno Stato vecchio, malato, allettato in terapia intensiva tra la vita e la morte. E a noi tocca andare avanti senza il suo aiuto”.