Rischiava di andare incontro a una condanna a dir poco esemplare, ma davanti alla prospettiva di schiantarsi su un nuovo fine pena mai ha deciso di compiere un clamoroso passo indietro. Michele Minichini, alias “tiger”, emergente e spregiudicato capo della camorra di Napoli Est, si dissocia a sorpresa dai propri trascorsi di malavitoso ed evita sul gong la pena dell’ergastolo. Imputato per l’omicidio di Vincenzo De Bernardo, assassinato l’11 novembre del 2015 a Somma Vesuviana per una vendetta trasversale maturata nell’ambito dell’eterna faida tra i Mazzarella e i Rinaldi (questi ultimi federati proprio ai Minichini De Luca Bossa), il figlio del capoclan Ciro è riuscito a cavarsela con una pena di appena 17 anni di reclusione. Un’inezia, o quasi, scattata grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche. A darne notizia è il quotidiano Roma oggi in edicola.

Con la sentenza pronunciata ieri pomeriggio dal gip Cananzi cala dunque il sipario sul processo di primo grado celebrato con il rito abbreviato. Un verdetto che, in attesa del deposito delle motivazioni, si configura già come una doccia gelata la pubblica accusa. La Procura avava infatti chiesto la condanna all’ergastolo sia per il ras Michele Minichini che per il coimputato Luigi Esposito. A spuntarla sono state però le argomentazioni sostenute in aula dalle difese – rappresentate dagli avvocati Giovanni Abet e Loredana Di Luca per Minichini – le quali sono riuscite a ottenere un risultato che, a conti fatti, è andato ben oltre ogni aspettativa. Il gip, riconoscendo le attenuanti generiche, ha infatti condannato il ras Michele Minichini a 17 anni di reclusione e Luigi Esposito alla pena di 20 anni.

Vincenzo De Bernardo, detto “’o pisello”, napoletano di via Oronzio Costa a Forcella, era un esponente di punta del clan Buonerba, il gruppo mazzarelliano all’epoca impantanato fino al collo nella sanguinosa faida con i Sibillo. Tornato in libertà, si trasferì a Somma Vesuviana, dove andò incontro alla morte. Secondo l’accusa, Luigi Esposito fu mandante ed esecutore; il boss Ciro Rinaldi l’altro mandante; Michele Minichini, l’esecutore materiale; Luisa De Stefano e Vincenza Maione, le due “pazzignane” legate ai Rinaldi, parteciparono all’esecuzione materiale; Mauro Marino (oggi collaboratore di giustizia) e Stefano Gallo furono coesecutori ma con un ruolo minore di aiuto ai sicari e recupero dell’arma. Una vicenda atroce, dalla quale il 29enne ras di via Figurelle ha deciso di prendere le distanze.