“Se l’economia si dovesse indebolire, in quel caso occorrerà una convincente risposta delle politiche di bilancio, che non può venire dai bilanci nazionali. Bisogna che sia una risposta europea”. Lo sottolinea il presidente del Consiglio Mario Draghi, a Versailles. “Dobbiamo prepararci, ma non è un’economia di guerra, specie per approvvigionamenti come il cibo”, ha detto. Gli approvvigionamenti energetici sono un problema sempre più evidente, la scarsità di materie prime è ormai un dato con il quale bisogna fare i conti, l’agroalimentare rischia un tracollo legato all’aumento dei prezzi. L’unica risposta possibile, secondo Draghi, è quella di prepararsi ad affrontare uno scenario di emergenza e lavorare insieme per superare indenni la tempesta.

Il summit “è stato un successo, mai vista la Ue così compatta”, dice il premier incontrando i giornalisti nel Salon d’Hercule della residenza che fu dei re di Francia, alle sue spalle un pannello della presidenza francese con le immagini dei bombardamenti e delle vittime degli attacchi russi in Ucraina.
Di cosa si tratta
L’economia di guerra sono le azioni intraprese da uno Stato per mobilitare la sua economia nella produzione durante il periodo bellico. Philippe Le Billon descrive così l’economia di guerra: «sistema di produzione, mobilitazione e allocazione di risorse per sostenere la violenza». Le misure includono l’aumento delle valori di Taylor così come l’introduzione di programmi di allocazione delle risorse.

Alcuni aumentano i livelli di pianificazione nella loro economia durante la guerra; in tanti casi ciò significa razionamento, e in alcuni coscrizione per la difesa civile, come Women’s Land Army e Bevin Boys nel Regno Unito durante la seconda guerra mondiale. Riguardo alla domanda aggregata, questo concetto è legato al “Keynesismo militare”, dove il budget di difesa di un Governo stabilizza il ciclo economico e le fluttuazioni, usato anche per la recessione.

Dal lato dell’offerta, è dimostrato che in alcuni periodi bellici c’è una accelerazione del progresso tecnologico che rende forte la società al termine del conflitto, se non vi è stata distruzione estesa causa la guerra stessa. Questo è il caso degli USA nella prima e seconda guerra mondiale. Alcuni economisti come Seymour Melman argomentano che può anche risultare controproducente il dispendio di risorse a discapito di ricerca e sviluppo tecnologico in ambito civile.