Tra un paio di mesi scadrà “Quota 102”, lo scivolo che permette di lasciare il lavoro con 64 anni di età e 38 di contributi. Poi dal primo gennaio del prossimo anno, se nulla accadrà nel frattempo, si tornerà alle ordinarie regole della legge Fornero, con il pensionamento a 67 anni. Il ministro Calderone, non appena giurato nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha già detto come intende procedere: «Con un rinnovato dialogo sociale». Sulle pensioni, insomma, farà molto probabilmente ripartire il tavolo di confronto con i sindacati voluto dal governo Draghi e che si era interrotto con lo scoppio della guerra in Ucraina. Così ieri sarebbe rimasta sorpresa, per il fatto che uno studio tecnico della Fondazione dei consulenti del lavoro, con un ipotesi di pensionamento a 60 anni con 35 di contributi, sia stata indicata come una proposta politica. Cosa che invece non è.
Su un’ipotesi in particolare: una sorta di Quota 41 “ammorbidita”. Che poi si potrebbe anche tradurre come una Quota 102 bis.
L’idea in pratica sarebbe questa: consentire, almeno per il prossimo anno, di lasciare il lavoro con 41 anni di contributi e 61 anni di età. Il costo stimato di questa soluzione sarebbe, nel primo anno, di 700 milioni di euro. Compatibile, insomma, con i conti pubblici e una manovra che quest’anno potrebbe non avere dei grandissimi margini per riforme profonde delle pensioni. Ma si tratta comunque, di un’ipotesi al momento “tecnica”, a fianco della quale ce ne sono anche altre, come la cosiddetta “Opzione Uomo”, ossia un meccanismo simile a quello già oggi previsto per le donne e che consente il pensionamento anticipato a 58 anni con 35 di contributi accettando il ricalcolo contributivo dell’assegno.