Un breve scorcio sulla vita di Llewyn Davis, musicista folk che cerca di sopravvivere di musica nel Greenwich Village degli anni ‘60. Tra incontri sconosciuti, scazzottate, audizioni e la ricerca di un divano dove poter dormire, Davis capirà che una passione che brucia l’anima non morirà mai.

Stavolta di storia vera se ne sente solo l’aroma, come se aleggiasse in tutta la pellicola, come una specie di continuo ronzio narrativo. E qualcosa di vero c’è, perché il nuovo film dei fratelli Coen, A proposito di Davis, è liberamente ispirato non solo al libro autobiografico The Mayor of MacDougal Street, del musicista folk Dave Van Ronk; ma anche ad una (vera) scazzottata ai danni di un cantante folk, a cui assistettero i due fratelli nel retro un locale. “Sembra l’incipit di un film” pare abbiano detto. E ora, dopo il Grand Prix Speciale della Giura all’ultimo Festival di Cannes, possiamo solo, ancora una volta, applaudire. Sì perché questa pellicola, che sembra partire in un modo, in realtà ingannando lo spettatore e giocandoci per tutto il film (tra generi e citazioni), è un lavoro eccezionale. A cominciare dalla regia perfetta ed equilibrata, mai troppo statica o troppo regolare e dalla sceneggiatura, scritta, come sempre, a quattro mani da Joel ed Ethan Coen. Ormai ci sanno fare e sanno tenere incollato lo spettatore allo schermo come ben pochi, non solo “narrando”, ma riempiendo la pellicola di continue scene/situazioni, in pieno stile da humour ebraico.

Un cinema fatto di persone, di storie, di dialoghi secchi, di cruda verità; altro che effetti speciali, motion picture, 3D. Ci troviamo di fronte a una precisione maniacale dei dettagli, che altro non può che enfatizzare l’eccellente lavoro svolto alla fotografia di  Bruno Delbonnel (basta un film: il Faust di Sokurov), che catapulta lo spettatore nell’America degli anni ‘60, tra Storia e storie, chitarre lucide, locali polverosi, arredamenti vintage e quartieri nebbiosi (frutto, inoltre del lavoro alla scenografia di Jess Gonchor). Il lavoro alla fotografia, naturalmente, segue quello alla regia e al montaggio (a opera sempre dei Coen, sotto pseudonimo), che traccia la linea guida della pellicola, ancora una volta tutta coeniana. Anche in Inside Llewyn Davis (titolo originale e molto più significativo, come ad indicare una sorta di percorso preciso interiore del protagonista) torna la figura dello “sfortunato” coniano (cara a tutta la tradizione ebraica), che tanto aveva colpito nell’altro capolavoro dei registi, A Serious Man. Ma se lì, la catastrofe finale si è costruita lentamente, con tante piccole sconfitte; stavolta le sfortune del “Giobbe/Ulisse” della musica folk si intrecciano per vera e propria scelta del personaggio, andando poi a ingannare la percezione dello spettatore, che si trova spiazzato davanti alle decisioni del protagonista, che cerca, in tutti i modi di evitarla, questa catastrofe. Protagonista che ha il volto di Oscar Isaac, vera e propria rivelazione, che, oltre a suonare e cantare ogni singolo brano della stupenda colonna sonora, offre un’interpretazione magistrale, regalando emozioni e facendole vibrare sulle corde fumose della propria chitarra. È un disperato, un approfittatore, uno sconfitto, uno “sfortunato”, un vagabondo musicale, figura enfatizzata da quella andatura nella neve che lo accosta tanto alla camminata di Charlie Chaplin. A fargli da contraltare una galleria di personaggi eccezionali, a cominciare da Jin, cantante che è in duo con il marito Jim (un Justin Timberlake che nonostante tutto convince): a darle volto è una appassionata Carey Mulligan, che, come in Shame, canta e scioglie il cuore. Strepitoso il cameo di John Goodman, in una scena che è già cult. Musiche, naturalmente, che sono il cuore pulsante della pellicola, ne sono protagonista aggiunto, una sorta di doppia anima del protagonista, di cui non si disfa mai e che utilizza per interfacciarsi col mondo, con i guai, con le proprie sconfitte e le piccole vittorie giornaliere. A proposito di Davis è un film davvero molto bello, che regala e crea metafore e percorsi narrativi ad ogni singola inquadratura (musica folk vs jazz, vecchio cinema vs nuove tecnologie, Storia e guerre), che ci trascina in un viaggio, quello del protagonista accompagnato da un gatto di nome Ulisse, che dopo tanto peregrinare, torna a casa. Torna alle proprie radici. In effetti il folk è proprio questo, cantare il proprio passato, le proprie esperienze, restando agganciato alle nostre radici. E a pensarci bene, tantissimi sono i richiami a un altro film dei Coen, Fratello dove sei?, del 2000, con un protagonista chiamato Ulisse e un cantante folk malmenato. Un film, A proposito di Davis, da non perdere per nulla al mondo. Da ascoltare prima col cuore e poi con le immagini.

Potrete vedere A proposito di Davis in queste sale

-NAPOLI

Filangieri Multisala

Plaza Multisala

-AFRAGOLA

Happy Maxicinema

-NOLA

The Space Cinema Vulcano Buono

-SALERNO

The Space Cinema Salerno