Il Santuario di Montevergine, a 60 chilomentri da Napoli, 40 da Salerno e 35 da Benevento, presso Avellino, è situato sul massiccio oggi denominato “Partenio” (1270 metri), ma un tempo variamente chiamato: “monte di Cibele”, “monte Virgiliano o di Virgilio”, “monte Vergine”. La sua origine è dovuta all’opera di San Guglielmo da Vercelli, vissuto negli anni 1085-1142. «Su quell’alta montagna, a 1270 metri sul mare, in una piccola conca creata dall’incontro di due opposti declivi di monti, si fa costruire una piccola cella, ed ivi per un anno rimane solo nella più assoluta solitudine, tutto dedito alla più alta contemplazione, a contatto con orsi e con lupi, che però non osano recargli alcun male».(Giovanni Mongelli OSB, Storia di Montevergine e della Congregazione Verginiana, vol. I, Avellino, Amministrazione Provinciale 1965).

Ben presto la fama di santità di Guglielmo si diffonde, e giunge il primo discepolo che sarà anche il primo testimone e la prima fonte di informazione sulla vita del santo. Sorge quindi, con il crescere della comunità, la necessità di costruire su quel monte una chiesa in cui poter celebrare meno indegnamente le lodi di Dio e le sacre funzioni. «Un’antica tradizione vuole che la consacrazione di questa prima chiesa a Montevergine si sia verificata nella Pentecoste del 1124, che in quell’anno cadeva il 25 maggio». (Giovanni Mongelli OSB, Storia di Montevergine e della Congregazione Verginiana, vol. I, Avellino, Amministrazione Provinciale 1965). Durante la costruzione del complesso monastico arrivò un artista di nome Gualtiero il quale era caduto da un’impalcatura ed aveva riportato la frattura di un braccio; per l’intercessione di San Guglielmo ritrovò l’articolazione dell’arto, vestì l’abito monastico e dipinse il dossale, detto Madonna di San Guglielmo. Fu la prima icona esposta alla venerazione dei pellegrini. Nella Pentecoste del 1126 il vescovo Giovanni di Avellino consacrò la chiesa e tenne a battesimo la nuova famiglia monastica, che entrò nella storia della Chiesa col nome di congregazione di Montevergine. La Chiesa di Montevergine diventa un punto di riferimento e di approdo per i vivi e per i morti; in essa sorgono una cappella reale e tante altre cappelle. Sono gli anni in cui sulle cime del Partenio, in un’atmosfera di pietà religiosa e Popolare si verifica l’avvenimento più importante di tutta la storia del santuario: l’arrivo di una seconda icona la quale, quasi per incanto, sostituisce la Madonna di San Guglielmo e ne eredita la devozione, assume il titolo ufficiale di Madonna di Montevergine e dal popolo napoletano viene invocata con il nome di Mamma Schiavona.

Lo schema iconografico si inserisce nella tradizione delle cosiddette “Madonne di San Luca” tipicamente bizantine: al centro la madre di Dio col figlioletto sulla gamba sinistra, seduta su un trono regale, circondato da una schiera di otto angeli. Il fondo non interessato dalla pittura, è ricoperto da una lamina di ottone dorato, sulla quale sono ricavati tanti piccoli rombi con quattro gigli angioini lavorati a cesello. Anche le aureole dei singoli personaggi sono in ottone dorato finemente lavorato. Maria, dagli occhi aperti con le larghe pupille nere rivolte contemporaneamente al cielo, al figlio e ai fedeli in qualunque posizione questi si trovino, è l’unica figura veramente bella del grande quadro. Il bambino Gesù, seduto sul ginocchio sinistro della madre, alza appena la testolina alla ricerca dello sguardo materno; i due angeli sulle due estremità della spalliera del seggiolone e gli altri sei, schierati ai piedi della Vergine, sono figure troppo piccole rispetto alla principale, rimangono isolate ed estranee alla grandiosità del quadro. I monaci di Montevergine portarono e diffusero la devozione verso la Vergine del Partenio e organizzarono pellegrinaggi alla loro casa madre, la quale potette ben pre-sto divenire il santuario mariano più famoso del regno.

Un documento del 1139, accenna al significato morale al valore salvifico del pellegrinaggio al santuario di Montevergine. Un certo Fulco di Avella dona alla chiesa Santa Maria di Montevergine una terra arbustata, allo scopo di ottenere il perdono di tutti i suoi peccati, e aggiunge che a quella chiesa si portarono moltissimi cristiani per trovare la misericordia di Dio e ottenere il perdono dei loro peccati, mediante l’intercessione della Madonna e le preghiere dei monaci che ivi abitavano. Lo scambio tra preghiera e beni materiali sta alla base non solo delle offerte dei pellegrini ma anche delle grandi donazioni dei principi normanno-svevi e dei privilegi dei re di Sicilia, da Ruggero II a Manfredi. La dolcezza enigmatica e severa del volto della Madonna Bizantina, ha generato nei secoli un culto popolare saldissimo, ma ha anche affascinato grandi uomini di anime differenti, come Pier Paolo Pasolini – che in un suo soggiorno irpino volle visitare il Santuario – e, nel 1974, un semplice prete venuto dalla Polonia, Karol Wojtyla, che scrisse alla Madonna una dedica in latino (Sub protectione materna B.M. Virginia manete in pace et in servitio cum angelis ad salutem Populi Dei).

A tanto fulgore devozionale – o proprio in ragione di ciò – corrispondono oscure conoscenze dal punto di vista storico-artistico, probabilmente anche perché – che se ne abbia notizia – mai a nessuno studioso è stato consentito di analizzare da vicino il quadro risalente, nella sua interezza, al 1200. Neanche a quella Margherita Guarducci, epigrafista archeologa e illustre storica dell’arte – sua la scoperta delle ossa di San Pietro in Vaticano – che nell’88, inseguendo un’intuizione, salì sul monte dei benedettini, nel tentativo di avvicinarsi al dipinto. In realtà la Guarducci era a un passo dalla scoperta che aveva inseguito per una vita: rintracciare la prima immagine del volto della Madonna, o, almeno, la copia occidentale più antica della prima icona bizantina, la famosa Odigitria (cioè “delle guide” dalla Chiesa degli Odeghi a Costantinopoli dove venne venerata). Questo primo volto mariano – da cui derivarono tutti gli altri portati come vessillo in testa agli eserciti-sarebbe stato trasferito in Italia dall’ultimo imperatore latino d’Oriente, Baldovino II, che in fuga verso l’Occidente l’avrebbe poi donato agli Angioini: E sarebbero stati proprio gli Angioini di Napoli, secondo la leggenda, a nascondere l’icona dell’Odigitria a Montevergine. L’intuizione della studiosa, la legenda e la storia hanno trovato una straordinaria sintesi nel video prodotto da Irpinia TV, curato da Michelangelo Varrecchia e Gerardo Troncone.

Con l’ausilio del computer i curatori del video – grazie all’elaborazione grafica di Multimedia – sono giunti alla soluzione di quella aporia che da secoli ha lasciato gli studiosi in una insuperabile empasse e che la Guarducci era stata a un passo dall’afferrare (la nota studiosa è scomparsa di recente all’età di novantanni): la Madonna di Montevergine sarebbe la prima copia occidentale della Madonna Odigitria .Chi entra oggi nella Basilica-Cattedrale rimane estasiato dalla grande Icona della Madonna, alta più di due volte del naturale (metri 4,30 u 2,10). La Vergine, in posa regale, è seduta in trono tra Angeli, ed indica con la mano il Bambino Gesù che tiene in grembo, secondo il modello orientale dell’Hodigitria, cioè della Madonna, Via a Gesù, che conduce a Lui. L’origine di questa grandiosa Icona è ancora avvolta nel mistero. La tradizione secolare la indica, almeno per l’ovale del volto, come dono dell’Imperatrice Eudossia, venerata in Antiochia, quindi a Costantinopoli, ed infine giunta in Italia come bottino delle Crociate.

Di certo, da otto secoli e più, schiere innumerevoli di fedeli salgono ogni anno al Santuario per venerare la Vergine, porgere a Lei le proprie suppliche ed i ringraziamenti per le tante grazie ricevute. C’è poi la Candelora, la festa in onore della Madonna di Montevergine: un’armonica commistione di sacro e profano che unisce le origini pagane del luogo con la sua forte vocazione cristiana. Ogni anno, il 2 febbraio, l’ascesa verso il santuario esplode di canti, balli e travestimenti al suono di nacchere e tammorre. Protagonisti della festa i femminielli devoti alla Mamma Schiavona che nel 1200, si narra, salvò una coppia di giovani omosessuali cacciati dalla città e incatenati sul monte. Durante la festa degustazioni di prodotti tipici della zona.

Montevergine